Dic 28, 2011 | The Blog
Ho appena finito di leggere un libro che mi ha molto deluso. Si tratta di Blunders in International Business di David A. Ricks.
Dal titolo mi aspettavo un’analisi attenta e circostanziata delle ragioni per cui molte aziende multinazionali combinano dei guai quando non tengono conto delle differenze culturali nei Paesi in cui vanno a operare. In realtà, qualche storia di disastri il libro la contiene, ma si tratta in gran parte di storie che risalgono agli anni 60.
Inoltre, per comprensibili ragioni legali, in molti casi l’autore non rivela né il nome delle aziende coinvolte, né il Paese in cui si sono svolti i fatti né racconta chiaramente i fatti stessi. E’ chiaro che sono solo tempo e soldi buttati quando si compra un libro pieno al 70% di frasi del tipo “una grande azienda multinazionale ebbe grossi problemi in un Paese dell’Estremo Oriente per non aver fatto i conti con la cultura locale.” Ma va? Chi l’avrebbe mai detto?
Inoltre, sembra che molte delle storie citate siano apocrife o tramandate di bocca in bocca da decenni, per cui la loro attendibilità lascia parecchio a desiderare. Insomma, si tratta di materiale più adatto a fare battute di spirito che di “case history” da trattare più seriamente.
Peccato, mi aspettavo anche di leggere di fiaschi clamorosi più recenti, come quello celebre della Mitsubishi, che ha chiamato Pajero un suo popolare fuoristrada venduto in tutto il mondo, per scoprire a posteriori che in lingua spagnola il termine definiva qualcuno dedito allo “sport solitario”. Ecco quindi il “rebadging” del mezzo come Montero nei mercati dove il nome poteva suscitare ilarità e scarso gradimento.
Sempre la Mitsubishi ne ha fatta un’altra battezzando “Fuso” un’intera divisione che produce camion. Sotto il link “Chi siamo”, il suo sito Web proclama con orgoglio Fuso in Italia e Fuso in Europa, non certo una frase di buon auspicio. Il brand risale addirittura al 1932 e si ispira al nome cinese dell’ibisco. L’Italia non è certo un mercato primario per questi mezzi e nessuno ha quindi ritenuto opportuno cambiarne il nome.
Altri classici esempi di nomi poco azzeccati nel nostro mercato ce li offrono la Volkswagen, con i modelli Jetta e Bora, che da decenni provocano una certa ilarità, seguita dalla coreana KIA con la Cerato e la Picanto, due nomi vagamente italiani o iberici ma che qui da noi suonano piuttosto stupidi. Già il nome KIA non è il massimo quanto a internazionalità. Il nome deriva dalla combinazione del carattere cinese Ki con la A di Asia e vuole significare “che sorge in Asia”. Sfortunatamente, in inglese KIA è l’abbreviazione di Killed in Action ed è difficile non pensare agli oltre 38.000 soldati di lingua inglese morti durante la guerra di Corea.
Quando la Fiat creò la Ritmo (una delle auto più oscene della storia), qualcuno si rese conto che in USA e negli altri Paesi anglofoni il nome avrebbe ricordato troppo da vicino il rhythm method, il metodo contraccettivo anche noto come Ogino-Knaus, per cui la bagnarola fu ribattezzata Strada per quei mercati, dove contribuì con le sue magagne (la ruggine prima di tutte) a consolidare la fama del gruppo torinese.
Sempre vicino a noi, nella turistica Svizzera, le Ferrovie Autolinee Regionali Ticinesi hanno ovviamente adottato l’abbreviazione FART, che però in inglese vuol dire flatulenza. Immagino le migliaia di turisti anglofoni divertiti che si fanno fotografare ogni anno a fianco del loro pullman o treno con il suo bel logo blu.
Un altro disastro mancato (anch’esso assente dal libro di Ricks) è la bevanda analcolica francese Pschitt. Questa è una delle prime bevande frizzanti francesi e fu creata da Perrier nel 1954. Il nome è chiaramente onomatopeico e ricorda il suono che fa la bottiglia quando viene stappata. L’attuale proprietario del marchio, il Neptune Group, non ha comunque in programma di esportarla in Paesi anglofoni, dove un rebranding si renderebbe molto opportuno.
Né un’altra storica bevanda francese, chiamata Lorina, viene distribuita da noi o in Spagna, perché qualcuno avrà fatto diligentemente i compiti e capito che il prodotto non avrebbe vita facile.
Dic 19, 2011 | The Blog
Kim Jong il, il dittatore coreano che ha trascinato il suo poverissimo Paese in una corsa agli armamenti nucleari mentre la gente moriva di fame, si è spento il 17 Dicembre; l’annuncio è stato dato al mondo due giorni dopo, insieme alla notizia della probabile successione del figlio, Kim Jong un (nella caricatura), un ventottenne privo di particolari esperienze politiche, se non contiamo la recente nomina a vice di suo padre che è avvenuta, diciamo così, di default. Il genitore era a sua volta figlio del primo dittatore coreano (Kim il Sung) che aveva “creato” la Corea del Nord nel 1948 e scatenato la Guerra di Corea due anni dopo, invadendo il sud del Paese.
Insomma, la successione al potere in Corea del Nord avviene così da sempre e non c’è nessun motivo di cambiare una formula che funziona…
L’economia del Paese è meno del 3% rispetto a quella della Corea del Sud e milioni di persone sono morte nella carestia degli anni 90, mentre Kim Jong il aveva alle sue dipendenze un cuoco giapponese che curava sontuosi banchetti per l’intellighenzia coreana e i suoi ospiti. Ciò nonostante, l’annunciatrice della TV di stato piangeva oggi nel dare la notizia e la folla si è riversata in strada nella capitale Pyongyang, quanto spontaneamente non ci è dato sapere.
La follia criminale di un dittatore che mendica aiuti internazionali, minaccia di guerra il Paese confinante e sperpera le magre risorse della sua nazione in un programma di armi nucleari sarà perpetuata dal figlio? Niente di più probabile. Inizialmente, il giovane sarà coadiuvato da una giunta di “saggi” che governeranno la Corea del Nord mentre lui si farà le ossa nella difficile professione di statista.
Ma in quella dittatura stalinista votata al culto dei Kim, tutti gli perdoneranno volentieri qualche errore di gioventù. Il Paese è il più militarizzato al mondo, con 9,5 milioni di persone in uniforme su una popolazione di quasi 25 milioni. Il PIL pro capite non raggiunge i 1400 Dollari USA/anno. Per contro, la Corea del Sud ha quasi il doppio degli abitanti con un PIL di circa 24.000 Dollari USA pro capite.
A Sud del 38° parallelo, che separa le due Coree, la tensione è forte e il resto del mondo guarda con preoccupazione a questo sviluppo di fine anno.
Il 2011 ci ha portato la caduta di due tiranni (Ben Ali, Mubarak) e la morte violenta di un terzo (Gheddafi), ma la scomparsa di Kim Jong il lascia poco spazio per sperare nella distensione nei rapporti tra le Coree e nel miglioramento delle condizioni di vita dei nordcoreani.
Dic 2, 2011 | The Blog
Mia moglie sostiene che per i nostri due cani ci vorrebbe una settimana con Cesar Millan, il Dog Whisperer di fama televisiva. Io dico invece che ce la possiamo cavare da noi con un percorso formativo più alla portata delle nostre tasche; dopotutto io faccio il formatore e quindi l’esperienza non mi manca. Basterà fare i dovuti aggiustamenti nel passaggio da umani a canidi. In più conosco bene i due soggetti e ho su di loro un discreto ascendente: sono io quello che dà loro da mangiare con maggiore frequenza. La via del cuore di un cane passa di sicuro per lo stomaco e, con un sacchetto di croccantini in mano, so di avere la loro più completa attenzione.
Bene, cominciamo con metodo. Analisi dei fabbisogni formativi.
Hmmm, primo problema: i cani non ritengono di avere particolari bisogni formativi. Sono una specie in grado di cavarsela da sé e la presenza dell’uomo li ha solo abituati a dipendere da lui, ma una volta riportati allo stato selvatico sanno esattamente che cosa fare.
La passione del mio cane Sam per inseguire i sassi che le lancio è chiaramente una metafora della caccia alla preda. OK, le lucertole, i piccioni o i topi non sono così gustosi come i croccantini, ma questa è un’opinione umana, se ci pensate bene. Noi preferiamo un pollo arrosto alla carogna di un volatile. Come la pensa veramente il cane non è dato saperlo e forse è meglio sorvolare.
Bè, partiamo dai fondamentali e cominciamo a proporre loro il corso “Obbedienza e attenzione”.
Ore 9:00 inizio lavori. “Il principio dell’obbedienza”: perché conviene ascoltare i comandi del padrone; ovvero, perché quel bipede con le chiavi della dispensa ne sa più del quadrupede dagli occhi imploranti.
Si mette male però: non siamo ancora al Coffee Break e i cani si sono già addormentati. Nemmeno la proiezione di alcune sequenze de “La Carica dei 101” riesce a galvanizzarli. I cani dei cartoni animati non sono abbastanza realistici per loro.
Anticipiamo tatticamente la pausa pranzo. Si esce a fare una passeggiata nei prati freddi e nebbiosi di una pianura padana a Dicembre.
Mi viene un’ispirazione. E’ evidente che i cani non apprezzano la teoria: il corso dovrebbe trasformarsi in un “outdoor training” per avere successo! (Ma sì. Tanto le diapositive erano noiose anche per me).
Complice il sacchetto di croccantini, ora l’attenzione dei discenti è massima e i risultati spettacolari. Il pomeriggio vola e non riesco a credere al successo dell’idea. I cani si comportano come i loro colleghi che, oltre un secolo fa, collaboravano con Ivan Pavlov nello studio dei riflessi condizionati. Agitare un biscottino assicura il massimo della concentrazione e dell’obbedienza. Non serve nemmeno farli sbavare, appena il comando è eseguito correttamente, appare il biscottino e siamo tutti contenti.
Rientriamo alla base stanchi ma appagati. I cani hanno imparato molto oggi e trottano soddisfatti.
Magari bastasse così poco per ottenere altrettanta attenzione in un’aula di umani.
Nov 19, 2011 | The Blog
Sono già da anni un grosso utilizzatore di Wikipedia. L’enciclopedia libera online mi compare sullo schermo più volte al giorno, sia aprendola con il browser e rovistando al suo interno alla ricerca di informazioni, sia cercando un termine su Google e trovandolo (come spesso avviene) in cima alla lista degli “hit” come termine contenuto in Wikipedia.
Wikipedia è il 5° sito più frequentato al mondo con 450 milioni di visite al mese. La sua versione inglese si avvicina ai 4 milioni di voci ed è veramente un grande aiuto per chi si trova spesso a dover scrivere dei testi o fare delle ricerche. Si potrebbe già azzardare che se un termine non compare in Wikipedia vuol dire che non esiste…
La versione in Italiano conta oltre 800.000 voci, più o meno al livello delle versioni polacca e spagnola, ma esistono anche delle versioni in dialetto (dal friulano al siciliano) che sono piuttosto divertenti, mentre non mi pronuncio sulla loro utilità, dato che contano ancora solo poche migliaia di voci.
A volte mi chiedo quanto tempo in più dovrei spendere per le mie ricerche di informazioni se Wikipedia non ci fosse. Così ho provato a fare un calcolo e il risultato si conta in ore al mese. Ecco perché, quando nei giorni scorsi ogni pagina di Wikipedia si apriva con l’appello del fondatore di sostenere finanziariamente la causa, ho subito mandato il mio contributo con PayPal.
Un “socio silenzioso” come Wikipedia vale ben più di una manciata di Euro…
Addendum Dicembre 2019: Sonio passati 9 anni e Wikipedia diventa sempre più politicizzata, al punto tale da non essere più attendibile. Il momento in cui la libera informazione fa politica, è la fine della sua attendibilità. Oggi non donerei più un centesimo a Wales e ai suoi editore-attivisti.
Nov 11, 2011 | The Blog
Alexandria by night
Essam è un accademico egiziano e anche un uomo d’affari. Ha una bella casa e una bella famiglia e, come tutti gli egiziani della sua levatura sociale, parla più lingue e ha dei modi di altri tempi. E’ un vero signore e un ospite perfetto.
Ci ritroviamo spesso al Cairo o ad Alessandria a trattare tutto il giorno con potenziali clienti, ma il momento che attendo con maggiore impazienza è la sera. Sotto la guida sapiente di Essam, ce ne andiamo a bere qualcosa e poi a cena in posti che lui conosce bene. Una volta abbiamo perfino fatto le 4 del mattino a chiacchierare e fumare la shisha.
Inutile dire che non sbaglia un colpo. Ad Alessandria, passiamo dalle sale poco illuminate di un circolo privato (dove insieme a Usama, un suo amico medico, facciamo fuori una bottiglia di Johnny) a un popolare ristorante di pesce dove arriva il meglio del Mediterraneo.
L’ambiente è informale e rumoroso, il pesce semplicemente favoloso. Non conosco i prezzi: con Essam l’argomento “stasera offro io” è abolito per principio.
Con un po’ di whisky in pancia, un’orata alla griglia sul piatto e una serata davanti, Essam è nel suo ambiente e attacca a parlare di politica. Non ama Mubarak, che vede come un fantoccio degli Americani, e ride scuotendo la testa quando gli dico che il Faraone (o “la mucca che ride”, come lo chiamano i suoi critici) è per gli USA una garanzia contro i Fratelli Musulmani, o se preferite al-Ikhwan, il movimento islamista contrario alla secolarizzazione dei Paesi Arabi.
Essam, a modo suo è un credente e le due donne nella sua famiglia (moglie e figlia) hanno preso a coprirsi i capelli con un hijab. Essam non crede ai pericoli che invece preoccupano Washington e non manca mai di criticare il gigantesco complesso militare costruito da Mubarak (a suo tempo capo dell’aviazione egiziana) a tutela principalmente di sé stesso e con il credito quasi illimitato accordatogli dagli USA.
“Mamma America” non ha capito niente, dice Essam mentre guarda controluce il liquido ambrato nel suo snifter mezzo pieno di JW Black. Questo è un tema ricorrente nelle nostre conversazioni e una spina nel fianco per il mio amico.
Poi arriva la primavera araba e l’11 Febbraio 2011 Mubarak se ne va, travolto dai moti popolari. Ha più di 80 anni, è malandato e si dice che il cancro lo stia divorando. Il processo a suo carico va avanti da mesi ed è ora stato rinviato al 28 Dicembre 2011. Non è nemmeno certo che “il Faraone” ce la faccia a comparire.
E’ qualche tempo che non vedo Essam e nel frattempo il mondo è cambiato: Mubarak non c’è più e da tre anni non c’è nemmeno George W. Bush. Presto gli egiziani andranno alle urne e vedremo se i Fratelli Musulmani o i partiti laici la spunteranno contro la monolitica potenza del complesso militare.
Insomma, cose da discutere ne avremmo, bicchiere alla mano, mentre nell’aria si diffonde il profumo del pesce che cuoce sulla carbonella.