Mar 25, 2018 | The Blog
Innumerevoli errori di ortografia e frasi sgrammaticate, traduzioni approssimative, mancanza di supervisione editoriale, più programma politico che semplici notizie.
Signore e signori, vi presento l’ANSA, Agenzia Nazionale Stampa Associata. La quinta agenzia di stampa al mondo, ma senza ombra di dubbio la più scalcinata delle cinque.
L’ANSA nasce a Roma nel 1945, quando a nord della Linea Gotica operava ancora un’agenzia di stampa del regime fascista, della quale ANSA fu l’alternativa appoggiata dagli Alleati fino alla fine del conflitto, che sarebbe giunta qualche mese dopo. Nei decenni successivi alla guerra, l’ANSA ha seguito la traiettoria del giornalismo italiano, fatta di affiliazioni politiche, nepotismo e clientelismo.
La più recente crisi della carta stampata investe anche l’ANSA, che è costretta a risparmiare—e si vede. Visitare il sito ANSA.it è un’esperienza avvilente.
Da inguaribile “news junkie” (o notizia-dipendente) che sono, consulto più fonti al giorno e l’ANSA è una di quelle.
Ecco perché sono in grado di dire che questa non è più un’agenzia ma un organo di stampa con un chiaro schieramento politico.
Poco male, dirà qualcuno, visto che la maggior parte delle altre Top 5 ha fatto la stessa fine.
Peccato che, alla evidente mancanza di imparzialità, si abbini anche un vergognoso degrado nella qualità dei servizi giornalistici.
Già in passato non ho risparmiato critiche a questa Armata Brancaleone del giornalismo.
Oggi mi è bastato dare un rapido sguardo al sito ANSA per constatarne, ancora una volta, l’inarrestabile scadimento.
Nel segnalare il lutto della Francia per la morte dell’ufficiale della Gendarmerie ucciso nell’attentato terroristico di Trebes, ANSA riporta l’hashtag di Twitter che ha raccolto commenti da tutto il mondo: #tousgendarmes. La traduzione ANSA?
Siamo tutto gendarmi.
Ma non basta. Nel riportare la notizia della vittoria della Ferrari al Gran Premio d’Australia, ANSA sottotitola:
“Secondo posto per Hamilton con la Mercedes. Terzo Hamilton.”
E per concludere il tris di cialtronerie, un articolo in prima pagina sulla minaccia terroristica a Roma menziona un cittadino tunisino “appartenente al Daesh”. Nella stessa edizione, l’attentato terrostico di Trebes è attribuito all’ISIS.
C’è qualcuno in ANSA—magari un caporedattore—informato del fatto che ISIS e Daesh sono la stessa cosa? Se il fatto è noto in ANSA, perché confondere gli italiani con due differenti denominazioni della stessa organizzazione terroristica?
O magari, cosa più probabile, due stagisti/e diversi hanno tradotto articoli di fonti diverse senza capire di che parlavano?
La sola, magra consolazione è che una tale accozzaglia di incompetenti è in via di estinzione (sempre che lo stato italiano la smetta di finanziare l’ANSA con i soldi dei contribuenti).
Dic 5, 2017 | The Blog
In Italia la traduzione dei titoli di film e libri stranieri è fin troppo spesso affidata a dei cerebrolesi.
Anche le cosiddette “tagline” di marchi famosi—quei sintetici slogan che accompagnano i brand, come NIKE – Just do it e che in Italia sono stati misteriosamente ribattezzati “payoff”—sono affidate a qualche demente per essere tradotte.
Qualche esempio per illustrare le mie affermazioni.
E’ appena uscito in Italia “Camino Island”, un libro dello scrittore americano John Grisham. L’isola in questione è un luogo di fantasia che l’autore ha ambientato in Florida e la storia parte dal furto dei manoscritti originali dello scrittore Francis Scott Fitzgerald, l’autore (non immaginario) de “Il Grande Gatsby”.
L’editore italiano ha deciso di cambiare il titolo del libro da “Camino Island” in ”Il Caso Fitzgerald”, una minitruffa ai danni dei fedeli lettori di Grisham, che si aspettavano un altro dei suoi celebri legal thriller, cosa che questo libro non è affatto.
Un altro esempio tra centinaia. Un classico libro sulle tecniche negoziali scritto nel 1981 dagli americani Roger Fisher e William Ury si chiamava “Getting to Yes”, che l’editore italiano ha annacquato in “L’Arte del Negoziato”.
Scarsa fantasia o stupidaggine pura?
“Getting to Yes” ha venduto milioni di copie in tutto il mondo. Difficile pensare invece che un titolo tanto banale come “L’Arte del Negoziato” possa aver attratto più di cento acquirenti.
Anche i film ricevono da decenni la loro quota di traduzioni melense. Uno dei casi più celebri è il musical “The Sound of Music”, che qualche stordito tradusse con “Tutti Insieme Appassionatamente”. Oppure il classico “Stagecoach” di John Ford, che da noi fu chiamato “Ombre Rosse.”
Per chiudere, parliamo delle “tagline” in pubblicità.
Cinque anni fa, qui sul blog, accennavo ai mentecatti della Gillette che tradussero (e ancora traducono) “The best a man can get” con “Il meglio di un uomo.”
Ripensandoci, vi immaginate che levate di scudi se qualcuno pubblicizzasse una ceretta con lo slogan “Il meglio di una donna”?
Nov 1, 2017 | The Blog
The Boeing 777-300 Extended Range operated by KLM between Amsterdam and Kilimanjaro Airport, Tanzania, finally lands at this small middle-of-nowhere airport and taxies to the tiny apron in front of the even tinier concourse.
Airstairs are rolled up to the plane and we, the weary travelers, descend into the African evening.
It’s 30° C but bone dry and pleasant. It’s been a long day from Amsterdam to here (we took off at 10:25 and it’s now 19:50 local, just one hour ahead of CET). Most passengers are headed to a wildlife safari or a climb of Mt. Kilimanjaro. My goal is more mundane, a 5-day stay in Arusha for a training seminar.
I’ve collected my backpack from the overhead locker, and soon—after the immigration chaos— I’ll be picking up my suitcase from a luggage carousel.
My 5-year-old Kindle e-book reader, however, is still on board. I left it in the seat pocket on the back of seat 31 C, the one before mine.
By the time I enter my hotel room in Arusha, one hour away from the airport, I realize my Kindle has gone AWOL. No, let me rephrase that, Kindles don’t go anywhere. I’m the idiot who left it behind.
JRO (Kilimanjaro Airport), believe it or not, has a lost-and-found facility—at least on the Web. I fill out my lost-item report and abandon all hope as I key in my details.
Five days later, I go through the immigration and security checks at the same shambolic airport (if I were a continuous-improvement consultant I’d make them an offer they can’t refuse) and see no lost-and-found office. Hah, I knew it.
Well, that’s the beauty and the curse of websites. They need no physical location, and the Arusha/JRO lost-and-found is probably just some IT whiz-kid having fun.
We take off into the night to Dar es Salaam and on to Amsterdam. I sit next to a middle-aged Dutch doctor, who works for the Amref NGO, and his lovely vrouw (almost identical to the German word Frau) and she’s a very sweet lady.
However charming my Dutch neighbors are, after we land in Dar es Salaam I turn myself into a modern-day mummy (with blanket, earplugs and sleeping mask) and try to catch some Z’s before we land at Schiphol.
There I have a 3-hour layover until I board my KLM flight to Milan. Since I first set foot in Amsterdam/Schiphol 35 years ago, the place has become more wonderful every year. This here, ladies and gents, is one hell of an airport. Just for the purpose of killing time, I walk to an Information Point in the main airside concourse. I tell a very professional and friendly airport employee about my lost Kindle and she points to a touch-screen nearby.
“File a report, sir” she says. I do what she says and I stagger back to my gate to wait for my connection. I think to myself, “What the heck, it can’t hurt…”
By the time I get home, there’s an e-mail waiting for me and it says, “We will inform you within 5 days if your property has been found. Yours sincerely, Lost & Found, AMSTERDAM AIRPORT SCHIPHOL”
Yeah, whatever. My Kindle is old and worth nothing, but it’s traveled everywhere with me. Instead of buying a new and better one, I decide to wait.
Today, I get an e-mail from Schiphol L&F that says, “We have good news for you! We have found your E-reader. We have registered it under XYZ.” To make a long story short, I’ve arranged—through the Schiphol website—to have my Kindle couriered to me.
The whole operation costs 43,83 Euro (probably more than my old Kindle is worth) but it’s still very reasonable. After all, someone has to claim the item from Schiphol L&F and FedEx it to me.
For €43,83 I couldn’t fly to Schiphol and back to claim it. Today, on Day 6 after my online report. I just got a shipment confirmation that my old Kindle will return home in 2 days’ time. Amazing.
As an aging curmudgeon, I don’t necessarily love everything digital, but this particular episode has left me speechless.
Edit: My runaway Kindle just got home in one piece…
Ott 2, 2017 | The Blog
Chiamatela Hong Kong, Xianggang o HK, questa minuscola porzione di Repubblica Popolare Cinese (poco più di 1000 km quadrati) è il laboratorio politico e finanziario nel quale il Paese di Mezzo conduce gli esperimenti per i suoi assetti futuri.
Nonostante la sua grande vocazione commerciale, industriale e finanziaria, Hong Kong rimane un luogo indimenticabile da visitare, anche se il motivo principale che vi ci porta sono gli affari. Non mancate di coglierne i mutevoli umori nel corso della giornata, per quanto la vostra agenda possa essere fitta di appuntamenti.
La mattina lavorativa di Hong Kong comincia presto e le strade che portano all’isola dai Nuovi Territori e dal confine cinese si affollano di autobus, auto private e taxi alle prime luci dell’alba. Le 7 linee della moderna rete metropolitana, la MTR, iniziano a operare attorno alle 6 e costituiscono il mezzo di trasporto più rapido, economico ed efficiente di Hong Kong.
L’umore del mattino è adrenalinico. Tutti corrono in ogni direzione con l’occhio all’orologio e gli immancabili auricolari in posizione. È il momento di andare in ufficio, correre in aeroporto, prendere il treno per Shenzhen, consegnare pacchi, ritirare pacchi, scaricare il camion, caricare il furgone, rifornire i ristoranti, scavare fosse, posare cavi, salire sul battello, scendere dall’aliscafo. A Hong Kong, gli unici che si possono prendere una pausa sono i turisti.
Questa Manhattan asiatica è in continuo, frenetico movimento, ma se New York è pittoresca e piena di contrasti, la tavolozza dei colori e l’assortimento degli odori di Hong Kong sono ancora più variegati.
Le ore del mattino scorrono veloci nelle torri di cristallo di Wanchai o nelle fabbriche verticali dei Nuovi Territori, edifici industriali che si sviluppano in altezza perché i terreni si pagano a peso d’oro. Che sulla città incomba un cielo basso di nuvole o che splenda il sole, l’umidità è sempre altissima e migliaia di condizionatori lavorano in fuorigiri per combatterla. Passi davanti a un negozio e ti investe una ventata di aria fredda, in metropolitana le bocchette sul soffitto dei vagoni soffiano spietate verso il basso investendo un pubblico impassibile che legge giornali o ascolta musica. Dai magazzini e dagli edifici industriali arrivano folate di aria rancida che sanno di olio minerale, di umidità e di circuiti elettrici surriscaldati.
È arrivata l’ora del pranzo. Migliaia di persone si riversano in strada dirette a bar, coffee shop e ristoranti. Molte migliaia ancora prendono le bacchette, aprono il contenitore con il pranzo che hanno portato da casa e si cercano un angolo in ufficio o in fabbrica dove poter mangiare tranquilli. I turisti, che hanno macinato chilometri a piedi, si lasciano crollare nella poltrona bisunta di uno dei mille Starbucks.
Le vecchie, splendide carrette della Star Ferry continuano a fare la spola tra Kowloon e l’isola di Hong Kong. Chi è seduto al ristorante dell’Ocean Center, dove attraccano le navi da crociera, le vede attraversare senza sosta il breve tratto di mare del Victoria Harbour dirette a Central o Wanchai come palline da ping-pong. Quanti sono i traghetti della Star Ferry, ognuno contraddistinto dal nome di una stella? Cinquanta, cento? No, sono solo dodici ma non si fermano mai.
Il pomeriggio inoltrato regala umori e colori speciali a Hong Kong. Se avete finito una frenetica giornata di lavoro ed emergete dalla stazione metro di Tsim Sha Tsui o in quella di Central, vi accolgono i riflessi del sole che rimbalzano dalle vetrate tinte dei grattacieli e l’aria calda densa di odori. Qualche nuvoletta sul Victoria Peak dell’isola si tinge di rosa e una vaga foschia inizia ad avvolgere i grattacieli-alveare alle spalle del porto container di West Kowloon. Sullo skyline dell’isola si accendono le prime insegne pubblicitarie, mentre nel cuore del distretto turistico della penisola, Tsim Sha Tsui, le luci non si sono mai spente: elettronica, abiti su misura, visti per la Cina, ristoranti, uffici cambio, agenzie di viaggi, occhiali. C’è di tutto per tutti.
Lungo la Nathan Road e all’imbarco degli Star Ferry sul lato Kowloon, orde di procacciatori ti inseguono per proporti vestiti su misura. Oggi il sarto ti fa scegliere la stoffa, domani ti consegnano il vestito in albergo.
Servono degli occhiali da vista. No problem, sir. Esame della vista ora, occhiali pronti domani mattina.
In ogni mio viaggio a Hong Kong ho sempre portato con me almeno una macchina fotografica. La reflex per le foto “serie” e una piccola punta-e-scatta da tenere nella valigetta durante il giorno per cogliere qualche istantanea tra una riunione e l’altra.
Qui i negozi di fotografia sono meta d’obbligo per l’appassionato. C’è chi raccomanda quelli di Stanley Street sull’isola, chi è invece convinto di fare i migliori acquisti a Kowloon. Io per non sbagliare li ho girati tutti, da Central fino a Mong Kok. Alla fine ho sempre comprato da Tin Cheung in Carnarvon Street, proprio nel cuore di Kowloon, a due passi dai principali alberghi della penisola. I prezzi sono analoghi a quelli USA, quindi estremamente vantaggiosi rispetto all’Italia.
Armato dell’ultimo obiettivo Canon mi sono poi affrettato a raggiungere l’estremità meridionale di Kowloon e la passeggiata a mare del Cultural Centre per scattare l’ennesima foto dell’isola al tramonto, litigandomi la veduta con centinaia di turisti, cinesi e non. Nel corso degli anni non so quante foto avrò scattato con la stessa inquadratura, ma non ce ne sono due uguali. Un po’ per via dei continui cambi di umore di questa metropoli, ma specialmente per le sue continue mutazioni. Ogni anno qualcosa cambia nel suo skyline, un nuovo grattacielo prende forma mentre uno “vecchio” viene giù.
È dalla fine dell’800 che Hong Kong non cessa di trasformarsi e di sorprendere; forse l’unica battuta d’arresto ci fu durante i 4 anni di occupazione giapponese dal 1941 al 1945.
Il fascino che questa metropoli esercita e la profonda lezione che ci trasmette si possono descrivere con una sola parola: vitalità.
Set 24, 2017 | The Blog
Caso N.1
Qualche tempo fa ho inviato dei documenti da Milano a Udine tramite Posta1, un servizio che, per Euro 2,80, “consente di spedire velocemente lettere in tutta Italia, con la possibilità di verificare l’esito di consegna dei tuoi invii”, almeno così dicono le Poste. L’addetto dell’ufficio postale in Stazione Centrale a Milano mi assicurava che il plico sarebbe arrivato “domani o al massimo dopodomani”.
In realtà ci ha messo 7 giorni e dal sito delle Poste risultava impossibile tracciare lo stato della consegna.
Ho utilizzato il modulo di contatto presente sul sito e ho segnalato il disservizio chiedendo spiegazioni. Tre mesi dopo—sì, tre mesi—le Poste mi rispondono quanto segue:
Gentile Cliente,
con riferimento alla Sua segnalazione, relativa al mancato/tardato recapito dell’invio di Posta 1, n. 2IUP0006961352, desideriamo fornirle gli opportuni chiarimenti.A riguardo, La informiamo che per questa tipologia di invio, la funzionalità di rendicontazione ha natura meramente informativa sull’esito di consegna e non permette di determinare in modo certo, ovvero sulla base di riscontri obiettivi, i dati relativi alla spedizione, destinazione e recapito dell’invio.
Per questo motivo la Carta del Servizio Postale Universale non prevede indennizzi: precisamente stabilisce che “in conformità con la legislazione nazionale vigente e con la Convenzione Postale Universale ratificata nell’ordinamento italiano, rimborsi, indennizzi o ristori sono previsti per i soli servizi per i quali sia possibile determinare in modo certo, ovvero sulla base di riscontri obiettivi, i dati relativi alla spedizione, destinazione e consegna.
Negli altri casi, l’assenza dei rimborsi/indennizzi/ristori è giustificata da criteri di ragionevolezza. Abbiamo, comunque, provveduto a sensibilizzare il personale a porre la massima attenzione nell’espletamento del servizio.
Notate il linguaggio prettamente burocratico e l’assenza di qualunque formula del tipo: “siamo spiacenti.”
Inoltre, nel mio reclamo non avevo chiesto alcun rimborso, ma qui si tratta probabilmente di un “copia e incolla” fatto dall’anonimo impiegato postale, che ha attinto a una risposta data ad altri in passato.
Per chiudere, la frase “abbiamo (…) provveduto a sensibilizzare il personale a porre la massima attenzione nell’espletamento del servizio” mi ha fatto ridere fino alle lacrime. Vi immaginate la scena?
In che film di fantascienza vedete un responsabile delle Poste sensibilizzare gli impiegati a fornire un servizio migliore?
Caso N.2
Qualche giorno fa, un oggetto ordinato su Amazon con consegna assicurata per il giorno X non è stato consegnato. Il sito del corriere B. incaricato di recapitare il pacco lo dava “in consegna” già dalle 8 del mattino. Poi, evidentemente, il conducente del furgone ha deciso di andarsene a casa e, alle 17:59, la consegna veniva rimandata per motivi non spiegati.
Al mio reclamo tramite il sito Amazon seguiva nell’arco di pochi secondi una telefonata da parte del loro servizio clienti. Dopo le scuse del caso, mi è stato assicurato che il pacco sarebbe stato consegnato l’indomani e che, a titolo di compensazione, mi veniva esteso gratuitamente per un mese il servizio Amazon Prime di consegne gratuite.
Seguivano via mail la conferma di quanto sopra e un questionario di gradimento sull’operato dell’addetta al customer service.
Chiaramente, il voto da me dato è stato 10/10.
La morale è piuttosto trasparente. Il disguido nella consegna può avvenire, che sia a causa di un dipendente svogliato o per oggettivi motivi di traffico, ma la differenza la fa la gestione del reclamo.