Apr 8, 2016 | The Blog
Per la prima volta in 97 anni, l’US Postal Service—la posta americana—ha abbassato il prezzo del francobollo per la corrispondenza ordinaria, la First Class Mail (la nostra cosiddetta prioritaria). Non si tratta di uno sconto sensazionale visto che parliamo di soli 2 centesimi, da 49 a 47, ma trovo inebriante l’idea che le tariffe postali possano calare. Magari mantenendo anche gli stessi livelli di servizio.
Qui da noi, la tendenza è opposta. Entro febbraio 2017, un quarto dei cittadini italiani riceverà la posta a giorni alterni. E per spedirla spenderemo tutti di più.
D’altronde bisognerà anche tener conto che l’Amministratore Delegato delle poste, tale Francesco Caio, ha un reddito di 1,2 milioni di euro. Reddito annuo, si capisce, non decennale.
La consegna a giorni alterni non è andata giù a molti, prima tra tutti la Commissione Europea, che ha scritto formalmente all’Agcom (l’autorità per le garanzie nelle comunicazioni) definendo il diritto alla comunicazione tra cittadini un obbligo al quale le Poste possono venir meno solo “in circostanze o situazioni geografiche eccezionali”—vedi la Grecia, dove il 6,8% della popolazione riceve la posta a giorni alterni, anche per via delle migliaia di isole (di cui 227 abitate) che compongono il territorio greco.
Questa la situazione relativa all’ex-monopolista. Ex perché da ben 7 anni in Italia ci sarebbe in teoria una liberalizzazione del servizio postale, sancita inizialmente dalla Direttiva comunitaria 97/67/CE che è stata poi recepita nell’ordinamento italiano con DLgs 261/1999.
Ma le poste italiche non mollano volentieri. Già da anni fanno catenaccio per non mollare la loro posizione dominante ostacolando i potenziali concorrenti, che offrirebbero al cittadino un servizio migliore a prezzi competitivi.
Questo stato di cose c’era già quando regnava il predecessore di Caio, che non si chiamava Tizio o Sempronio ma Massimo Sarmi. Il buon Sarmi costava 2,2 milioni di euro (l’anno, sia chiaro) e quindi—almeno a livello di stipendio—il contribuente italiano ci ha guadagnato un milione l’anno. (Se avete un prosecchino in frigo, questa sarebbe l’occasione per stapparlo).
Sarmi amava rilasciare grottesche interviste al Financial Times sbandierando i successi finanziari delle poste, ma del servizio reso all’utente non parlava mai. Con i giornali italiani Sarmi comunicava un po’ meno entusiasticamente, visto che gli utenti del disservizio postale avrebbero potuto urtarsi. Alla fine chi altro è in grado di valutare lo sfacelo del patetico carrozzone? Non certo Margaret di Hounslow West che legge il FT ma la Cesira di Carbonate, provincia di Como, che si fa venti minuti di fila per comprare un francobollo.
Oggi Sarmi parla un po’ di meno alla stampa estera, visto che è AD dell’autostrada Milano-Serravalle, ma la buonuscita che ha incassato dalle poste gli consente almeno di girare con un bel sorriso permanente stampato in faccia. Chissenefrega delle interviste alla stampa estera. Il lavoro nuovo paga bene ed è di tutto riposo.
Ma per portare in pari il bilancio delle poste riducendo il servizio e aumentando i costi dovevamo per forza pagare 100.000 euro mensili di stipendio a qualcuno o si poteva magari spendere di meno?
La risposta la lascio a chi legge.
Io mi sarei anche candidato, ma la scelta dei top manager per incarichi come quello di Sarmi e di Caio si restringe sempre ai soliti sospetti.
Mar 20, 2016 | The Blog
Casta Diva, the main building
I’m fortunate enough to have been booked by my client in a delightful guesthouse just outside Pretoria, the seat of South Africa’s executive branch. Here, on the northern side of the Magaliesberg, we are less than 9 kilometers removed from the city proper, but this rugged outcrop is a formidable barrier between the bushveld and the plateau where Pretoria lies, as the British found out the hard way during the Second Boer War.
The month is March and the fall weather here is mild and changeable; clear blue skies gradually become gray and menacing, then the rain begins and falls in sheets for a while. But it’s soon sunny and warm again with temperatures nearing 30° C and an azure sky peppered with plump little clouds.
My previous visits here were always in the winter and all was dry and yellow; now everything is green, lush, and much easier on the eye.
The place I’m staying at for 5 nights is called Casta Diva, a rich man’s home from days of yore that’s been converted into a boutique hotel with around 20 units and an excellent restaurant. (Yet, you won’t believe how inexpensive it is.)
My unit sits just across the garden from the restaurant. I return to it in the late afternoon after working in nearby Rosslyn, pick up a bottle of excellent South African Chardonnay from the room’s refrigerator where I had earlier placed it to chill and head to a friendly little portico that lies just outside my unit, overlooking the hotel’s garden.
I work on my e-mails as I sip the fruity wine from the Cape Province and all is well. Couldn’t be better, in fact. Invisible exotic birds call in the foliage, a mild breeze blows and the overall effect is wonderful. The combination of chilled wine, rich scents from the flowered bushes, and faint avian sounds makes for instant relaxation and a sense of fully deserved luxury.
A portico to call my own.
But suddenly, across the garden, a well-known noise intrudes on my bliss. A guy is talking loudly into his cellphone. The individual in question is ostensibly a German businessman who hasn’t yet learned that technology allows you to just speak into the phone to be heard on the other side. Surely he doesn’t think that it’s the yelling to carry his voice all the way to Dusseldorf or wherever der Teufel he comes from.
He yammers on and on about business matters with the tone of someone who is used to having people listen to him and hardly in a position to tell him: get to the point already and give your mouth a rest.
I try to shut him out of my consciousness as I deal with my correspondence (and the Chardonnay) and soon it’s time to get back to my room and change for dinner in town.
The next day, I have a free evening with no outside engagements. After my e-mail routine (and, to be sure, a glass of Swartland Winery’s rich Merlot for a change), I make my way across the garden to the restaurant. Aside from its main room, the restaurant offers the opportunity to dine “al fresco” on a small veranda covered by a canvas roof.
I sit there and order my dinner as the sky slowly darkens and the night sets in. The lighting is subdued and the stillness complete, except for the occasional trill and hoot of tropical birds. This silence is heady after a day of non-stop talking and there’s a promise of rain in the moist evening air.
Then, as the darkness is almost complete, a familiar clamor shatters the idyll. Yes, it’s him, Herr Loudmouth on his damn cellphone again. He’s in another veranda, maybe 10 meters and a few planters away, smart enough to choose such a delightful dinner setting but dumm enough to ruin it with his incessant blaring.
I try to concentrate on my food and the excellent red huiswyn they serve here, but to no avail. He’s really getting on my nerves (and I suppose those of some poor wretch on the other end of his call).
Now a waiter brings him his food. That’ll shut him up, I think.
No such luck. He drones on through dinner having put his phone on speaker. Great. Now I can hear the other guy, too.
I’m just about to walk over and ask him to shut the hell up, when a sudden occurrence stops me from starting a potentially ugly scene.
The rain hurtles down like a sudden, thundering drumroll on the canvas awning above me and loudly slaps the foliage all around my veranda. The downpour is as abrupt as it is fierce. A liquid onslaught drowns every other sound and is soon joined by the rush of rainwater through the drainpipes that run from the eaves. In this natural cacophony, I’m as content as I was in total silence 15 minutes ago.
This sudden, torrential cloudburst is even more relaxing than the earlier stillness and—more importantly—it has totally superseded the obnoxious yapper, the irritating fly in the ointment.
I lift the wineglass to my lips as I think how incredibly close I am to an urban area of over 3 million people, yet so far away from its hustle and bustle—and its cellphone-toting idiots.
Feb 2, 2016 | The Blog
Medice, cura te ipsum.
Medico, cura te stesso. Che in senso lato vorrebbe dire: prima di pretendere di migliorare gli altri, guarda se tu sei senza difetti.
Perché la citazione evangelica? Perché oggi mi scrive Linked in per segnalarmi un’opportunità di lavoro “top”. Si tratta di una scuola internazionale di lingue che cerca un Responsabile Vendite per l’Italia.
Il problema è che, volendo pubblicare l’annuncio in inglese, la scuola chiama la posizione Sales Responsible Italy—che in realtà non è affatto buon inglese.
Responsible in inglese è un aggettivo e mai un sostantivo. Non rientra infatti nel novero di quei numerosi aggettivi che possono essere sostantivati, come per esempio homeless, brave e, se ricordate il classico brano di Roy Orbison, lonely (“Only the Lonely”, 1961).
L’errore—cioè l’uso di responsible come sostantivo—è piuttosto frequente e si verifica quando un europeo che parli italiano, francese, spagnolo o tedesco come lingua madre (sulle altre lingue europee non mi pronuncio) vuole tradurre “il responsabile” in inglese. Tutte le lingue che ho citato prevedono l’uso dell’aggettivo sostantivato (le responsable; der Verantwortliche; el responsable). Ma l’inglese no.
Scorrendo la “job description” del Responsabile Vendite Italia compilata da EF Education First saltano all’occhio altre contaminazioni dell’inglese ad opera dell’italiano.
Questo capita spesso nei documenti redatti in inglese da non-native e non ci sarebbe troppo da preoccuparsi, se gli errori non fossero stati commessi da una scuola di lingue che vorrebbe insegnartele…
Per definire correttamente questa figura bastava usare le parole Manager o Coordinator, oppure Supervisor o anche Head of Sales, e probabilmente si sarebbe chiuso un occhio sulle altre mancanze, ma così l’errore è macroscopico e lascia ragionevolmente dubitare della qualità dell’offerta formativa.
Aggiornamento
Ho scritto alla Country Manager, Italy di EF segnalando appunto l’errore di cui sopra e il paradosso di una scuola di lingue che sbaglia il titolo di una sua inserzione in inglese. La CM mi ha risposto cortesemente informandomi di aver passato la mia segnalazione al settore Recruitment della sua azienda. A 7 giorni di distanza, l’errore è ancora lì in bella vista sul Web. Le conclusioni traetele voi…
Gen 31, 2016 | The Blog
Mancano pochi giorni al primo appuntamento per la nomina dei candidati alla presidenza americana. Il primo di Febbraio si tengono i cosiddetti Iowa Caucus, una serie di riunioni tra elettori per scegliere il candidato del loro partito da mandare alla Convention nazionale prima dell’estate. Questa dell’Iowa è una tradizione che risale ai tempi anteriori alla rivoluzione americana, ma il meccanismo è simile a quello delle “primarie”, che i restanti 49 stati hanno adottato. Il verdetto dell’Iowa è importante perché è il primo vero test per i candidati e molto meno per la capacità del piccolo stato del Midwest (poco più di 3 milioni di abitanti) di rappresentare un campione significativo dell’elettorato americano.
In Iowa tra una manciata di ore vedremo chi dei primi classificati nei due partiti, Repubblicani e Democratici, avrà la meglio. Nello schieramento dei Dems, la “frontrunner” è Hillary Clinton, avanti di un’incollatura al socialista Bernie Sanders. Clinton porta con sé un pesante bagaglio legato alle sue discutibili attività mentre era Segretario di Stato e al suo ruolo di First Lady ai tempi della presidenza del marito, le cui trasgressioni sessuali hanno fatto storia. Sanders, invece, è un idealista onesto e ha per questo catturato l’attenzione e il supporto degli elettori più giovani, ma è improbabile che questo si riconfermi su scala nazionale.
Il fronte repubblicano vede in testa Donald Trump, la cui strategia populista e urlata ha conquistato molti elettori e sorpreso tutti, giornalisti e avversari compresi. Alle sue calcagna c’è il senatore texano Ted Cruz, seguito a distanza dall’altro senatore Marco Rubio e dall’ex-neurochirurgo Ben Carson, l’unico candidato nero in questa corsa alla presidenza. Trump ha un talento naturale per attrarre su di sé l’attenzione e ha rivoluzionato l’approccio repubblicano alla campagna elettorale. Forte nella prevaricazione ma molto meno ferrato nei programmi, The Donald potrebbe sbaragliare tutti i suoi avversari partendo dall’Iowa oppure rivelarsi un fuoco di paglia il giorno che gli elettori americani si siano rinsaviti.
Sarà un bello spettacolo. Io ho preparato il popcorn e le birre sono già in frigo.
Aggiornamento del 2/2/2016
I Caucus dell’Iowa hanno premiato la logorante copertura a tappeto delle 99 contee dello stato fatta dal repubblicano Ted Cruz nelle scorse settimane. Cruz vince su Trump mentre Marco Rubio è terzo a brevissima distanza. Quella di Cruz è la vittoria dei “grass roots”, della gente comune, e un segnale all’establishment repubblicano. Secondo posto dolceamaro per Trump, che aveva boicottato l’ultimo dibattito repubblicano in Iowa per una polemica con gli organizzatori, e ora deve domandarsi a chi sia giovata la sua presa di posizione. Viene anche spontaneo ricordare un tweet di due anni fa dello stesso Trump (v. sotto) e chiedersi se The Donald la pensa ancora così.
In campo democratico, la Clinton vince per una manciata di voti su Bernie Sanders (che chiede un nuovo conteggio) e si proclama vincitrice con un discorso pieno di astio e di vaghe promesse. Millimetrica e amara vittoria per una che si sentiva invincibile e non temeva il vecchio idealista Sanders, La prossima consultazione è in New Hampshire tra una settimana e Sanders avrà la possibilità di sconfiggere la Clinton con margine ben più ampio.
Dic 21, 2015 | The Blog
Non amo i telegiornali e amo ancora di meno i giornalisti che vi si annidano, ecco perché le notizie le vado a cercare sui siti Web delle agenzie di stampa, italiane e non.
L’ANSA, sedicente “prima agenzia italiana d’informazione”, si rivela puntualmente una delusione. Nonostante essa vanti il motto Affidabilità, Completezza e Indipendenza, in realtà non ha niente di tutto questo. I reportage sono scritti con i piedi (pieni di errori di sintassi e ortografia a livello scuole elementari), certe notizie non sono nemmeno riportate (però compaiono sui siti stranieri) o molto spesso si rivelano opinioni di parte e non notizie.
Prendo ad esempio la “notizia” odierna (21 Dicembre 2015) del terzo dibattito tra i candidati democratici alla presidenza USA E’ un video di 52 secondi che esordisce con “Hillary Clinton senza rivali” e prosegue con “si conferma la frontrunner” “saldamente in testa ai sondaggi” e altre espressioni positive nei confronti dell’ex-segretario di stato, senza menzionare affatto gli scandali (passati e presenti) che ne compromettono l’affidabilità quale potenziale 45° presidente USA. Fin qui, la “notizia” è perfettamente allineata con la posizione dei Democratici americani, per i quali le scorrettezze, le continue menzogne e le violazioni della legge da parte della Clinton vanno passate sotto silenzio. Chi cercava qui pura informazione ha trovato invece una versione di parte. Il video prosegue attribuendo a Hillary un giudizio sul principale candidato repubblicano Donald Trump “è un maestro in buffonate e bigottismo” per i suoi “commenti razzisti e di estrema destra” (quest’ultima frase è un contributo del giornalista ANSA e non della Clinton).
Non intervengo in difesa di Trump, che non apprezzo affatto, ma in difesa della lingua inglese. Passi la traduzione dell’originale buffoonery con buffonate, che mi pare termine troppo vago e leggero, ma la ragione per cui lo scribacchino dell’ANSA andrebbe fustigato, oltre al chiaro e prevedibile schieramento pro-Clinton, è aver tradotto bigotism con bigottismo.
E’ il classico “falso amico”, una parola inglese praticamente identica a una italiana, ma che ha un significato ben diverso. Bigotto, per il vocabolario Treccani, si dice “di persona che mostra zelo esagerato più nelle pratiche esterne che nello spirito della religione, osservando con ostentazione e pignoleria tutte le regole del culto.”
Bigotism, in inglese, è l’intolleranza per le opinioni, le credenze e le convinzioni altrui.
Non c’è dubbio che le due parole, quella inglese e quella italiana, abbiano origini comuni, ma (come nel classico caso di egregio/egregious) hanno oggi significati ben diversi. Da chi si occupa di notizie dal mondo anglofono ci si aspetterebbe una conoscenza dell’inglese di livello superiore alla scuola media, ma in mancanza di questa basterebbe una modesta dose di intelligenza. Che c’entra il bigottismo con le sparate di Trump?
Non basta. In meno di un minuto, il testo ANSA utilizza le parole inglesi: first lady, frontrunner, tycoon. Se da una parte la traduzione italiana di first lady può risultare goffa, non vedo la necessità di utilizzare frontrunner e tycoon se non per fare sfoggio del proprio inglese, per quanto mediocre esso si riveli di fatto. Cara ANSA, quanti tra i tuoi lettori conoscono il significato di quelle due parole?
E poi, una sottigliezza. Per l’ANSA, la Clinton è semplicemente Hillary, come dire una di famiglia. Il rivale repubblicano è invece Donald Trump, o semplicemente Trump.
Lo stesso trattamento amichevole l’ANSA Motori lo riserva a Lapo Elkann, che chiama affettuosamente Lapo nel descriverne un presunto colpo di genio, quello di aver camuffato due Fiat 500 da droidi R2-D2 di Guerre Stellari. Qualche giorno prima, l’ANSA aveva parlato di “Lapo” per un’altra gran trovata, quella di far realizzare dalla Pirelli pneumatici con spalle in vari colori. Che gran mente quel Lapo; e pensare che qualcuno lo ritiene un ragazzino viziato con più soldi che cervello. E ancora: “Lapo a tutto campo“, una sbrodolata enfatica e smielata a firma di un certo Damiano Bolognini Cobianchi, che annuncia—pensate—un libro di Lapo Elkann sulla Fiat 500. Non è chiaro se si tratterà di un libro da colorare o di qualcosa di più convenzionale, nel qual caso almeno si sarà creato un posto di lavoro a progetto, quello del “ghost-writer” che dovrà realizzarlo in nome e per conto del rampollo Fiat. Cobianchi sviolina Elkann come “amatissimo dalla gente”, senza però dire di che gente stiamo parlando. Alla fine, che ci voleva a prendere giù tre nomi e citarli?
Si riconferma ancora una volta la grande attenzione dell’ANSA nei confronti di tutto quanto è collegato alla Fiat, pubblicandone come notizia i comunicati stampa trionfalistici e autoreferenzianti. Dopotutto, quale giornalista è in grado di resistere alle lusinghe della Fiat, come per esempio darti un’auto in comodato gratuito in cambio di un occhio di riguardo. Tanto che male c’è?
Alla faccia dell’indipendenza dell’agenzia di stampa, che in fatto di “marchette” non si rivela più integra delle più spudorate testate automobilistiche.
Nov 22, 2015 | The Blog
Poche ore prima della tragedia di Parigi, Barack Hussein Obama aveva decantato nella trasmissione Good Morning America il suo successo nell’aver “contenuto” l’ISIS.
Lo stesso tono trionfalistico l’aveva usato agli inizi dell’anno dichiarando che lo Yemen esemplificava il successo della politica antiterrorismo della sua amministrazione. Nel giro di poche settimane dall’annuncio, il presidente yemenita fuggiva dalla capitale, gli Stati Uniti chiudevano l’ambasciata a Sana’a mentre il paese cadeva nella guerra civile.
Lo scorso anno, mentre i notiziari segnalavano il dilagare dell’ISIS in Medio Oriente, Obama aveva deriso lo Stato Islamico definendolo “una squadretta di dilettanti”.
Torniamo ora ai fatti più recenti. Il 20 Novembre 2015, il Segretario di Stato americano John Kerry tenta goffamente in una conferenza stampa di rinforzare la fiducia nella strategia anti-ISIS di Obama citando come esempio la guerra ad Al Qaeda. Quest’ultima organizzazione, dice Kerry, è stata “neutralizzata”. Quasi contemporaneamente, però, un gruppo affiliato ad Al Qaida in Mali attacca l’Hotel Radisson Blue di Bamako uccidendo 21 persone.
Dobbiamo ora decidere se l’amministrazione Obama è un parafulmine che attira sciagure non appena dichiara i suoi successi o è una manica di imbecilli incompetenti che giocano con i fragili equilibri mondiali.
Io ho già formato una mia opinione ma non voglio influenzare quella di nessuno. Diciamo solo che non credo al malocchio (né ai parafulmini).
PS: Se è vero che le grandi menti pensano allo stesso modo, vale anche il contrario. Cioè, anche gli imbecilli affermano le stesse cose. Sia Obama che il Principe Carlo d’Inghilterra sostengono che all’origine della guerra civile in Siria ci siano i mutamenti climatici. Se il colorito di Carlo, un idiota di dimensioni cosmiche, lascia sospettare generosi consumi di superalcolici, il catalizzatore di Obama devono invece essere le canne.