Lug 25, 2016 | The Blog
Ora che Donald Trump è il candidato ufficiale del Partito Repubblicano alla presidenza USA, entra ufficialmente nel vivo lo scontro diretto con la rivale Hillary Clinton.
Con tempismo perfetto, si dimette la presidente del Democratic National Committee (DNC) Debbie Wasserman-Schulz dopo che Wikileaks ha reso pubbliche numerose e-mail dalle quali emerge chiaro l’ostruzionismo del DNC nei confronti di Bernie Sanders, unico rivale della Clinton nel campo Democrats. La Wasserman-Schulz entra ora ufficialmente nel campo Clinton, mentre ad interim prende il suo posto Donna Brazile, anche lei firmataria di mail anti-Sanders.
Ma la telenovela diventa ancora più interessante. A mettere in piazza tutta la biancheria sporca del team Clinton arriva l’atteso documentario “Clinton Cash”, che si basa sull’omonimo best seller del giornalista Peter Schweizer, uscito lo scorso anno.
L’associazione a delinquere Bill-Hillary-Chelsea Clinton e le sue malefatte sono dettagliate cronologicamente e spietatamente da Schweizer in un serrato crescendo che dura 64 minuti, Da Haiti al Pakistan, la vendita di influenza e favori per arricchire uomini d’affari e Paesi vicini ai Clinton è raccontata con precisione chirurgica. Chi si fosse domandato perché, come Segretario di Stato, la Clinton avesse deciso di condurre tutta la sua corrispondenza mail su un server privato, ora ha la sua risposta. Il traffico multimilionario del team Clinton doveva sfuggire al vaglio del Dipartimento di Stato e ai requisiti di trasparenza richiesti alle massime cariche dello stato.
Che si propenda o meno per Donald Trump come presidente USA, la visione del documentario è consigliata per chi voglia saperne di più sulla famiglia Clinton e su quello che ci si può aspettare—date le premesse—da una Hillary Clinton presidente affiancata dal marito Bill. Dati i suoi trascorsi di presidente, Bill Clinton verrebbe chiamato President Clinton e non First Gentleman. Per chi ancora lo ricorda come inquilino della Casa Bianca, ritornano i bruciori di stomaco. Ma è sempre meglio (anche se di poco) che vedere il suo nome abbinato alla parola gentleman.
Lug 22, 2016 | The Blog
Qualche anno fa ho dedicato un post alle idiozie della segnaletica nelle stazioni ferroviarie e pensavo di aver chiuso con l’argomento. Ma l’idiota resta idiota e, quel che è peggio, continua ad agire da idiota, per cui si rende necessario un aggiornamento sulle nuove idiozie. In occasione di ripetuti viaggi in treno ho da tempo scoperto delle misteriose icone di varie forme (triangolari e tonde) che appaiono nei vagoni e nelle stazioni e che i loro creatori hanno chiamato Security Warning scrivendocelo sopra. Tutti sappiamo che le icone, per essere comprese, devono contenere dei segni convenzionali che la gente riconosca e devono rispondere a una serie di regole comunicative.
Ma quelle che compaiono sui treni e nelle stazioni sfuggono ad ogni classificazione. Abbiamo icone triangolari bordate in blu o in rosso o in giallo oltre ad un’unica icona tonda dal bordo blu. Perché la forma diversa? Per analogia con la segnaletica stradale, dovrebbe essere un divieto—ma non lo è. Nelle icone vediamo personaggi ricorrenti, come il “ladro” (contraddistinto da una mascherina—ma anche per i visitatori orientali i ladri hanno la mascherina, o è solo una convenzione occidentale?), il poliziotto (o è un ferroviere?) con berretto e distintivo, più una serie di personaggi anonimi che evidentemente rappresentano i passeggeri. Si potrebbe pensare che l’idea sia di avvertire i passeggeri della presenza di ladri e borseggiatori, ma manca la certezza di questo, visto che le icone non presentano altra spiegazione che il criptico Security Warning.
Insomma, avrete già capito che non ci si capisce niente. Se è vero (ed è vero!) che l’atto comunicativo ha successo solo se viene compreso dal ricevente, qui siamo di fronte ad un fallimento di dimensioni epiche. Inutile domandarsi quanto sia costata questa inutile operazione, né quale ufficio di Trenitalia ne sia responsabile. Ci può veramente consolare il pensiero che ci sono posti di lavoro (in Trenitalia o presso ditte fornitrici) legati a operazioni demenziali come questa? Personalmente l’idea mi deprime.
Pensate l’ironia di un passeggero alleggerito del suo portafogli mentre attonito cerca di comprendere il significato dell’icona che ha davanti.
Mi congedo con questo pensiero, ma so che riprenderemo il discorso prima o poi. Ricordate: l’idiota continua ad agire da idiota e probabilmente sta covando qualche altra idea balzana da lanciare nei treni e nelle stazioni.
Giu 24, 2016 | The Blog
Brexit
Matteo Renzi’s impassionate appeal did not work. I actually wonder how many people read the Italian PM’s article in the Guardian on the eve of the referendum. I also wonder who wrote it for him, because everybody knows his English is a mess.
So, the Leave faction won. Everything I despise about Britain and the British won.
Truth be told, they were never meant to be a part of Europe. Their innate tendency to play both ends against the middle hardly boded well for their long-term membership. Their ill-guided aspiration to be first among equals was also a stark reminder that Britain is an island—and island people always feel different in a condescending way.
I keep thinking of a not-so-friendly epithet the Germans have for the Brits: Inselaffen or Island Monkeys, although I know quite a few nice, straightforward British people. So, look at it this way, the monkeys won.
Bernie
Bernie Sanders, the only honest person in the US presidential race, just said he’ll vote for Hillary Clinton.
If I were a Sanders supporter, I’d Feel the Bern in my stomach and look for a convenient place to puke my guts out.
By so doing, Sanders intends to reunite the party. What he’ll end up doing instead is disgust and disgruntle all those who believed in him. All those voters who, disillusioned with Obama’s empty promises and failed presidency, rallied around old Bernie are now shell-shocked and wondering what happened to their standard-bearer.
He has vowed to vote for one of the most corrupt individuals ever to run for president. His fear is that a divided Democratic party will be weak against presumptive Republican candidate Donald Trump. I can’t help but wonder how many Sanders supporters will be jumping on The Donald’s bandwagon, instead.
Bergoglio
On his way to Armenia, the pope commented on the Brexit vote. [It’s]“the will expressed by the people”, he told the press. That’s another priceless papal platitude from pope Bergoglio. Yes, that’s almost verbatim the definition of a referendum. Well done, pope, you sure know your civics. I wish you would remember that part about the separation between church and state that you so often pretend to forget.
Giu 22, 2016 | The Blog
Con l’implosione della campagna presidenziale di Bernie Sanders, restano in lizza per la Casa Bianca i due candidati dal più alto indice di “sgradimento”: Hillary Clinton e Donald Trump.
Donald Trump è un gradasso e un opportunista. Non è veramente preparato su nessuno dei temi più caldi del momento, dall’immigrazione clandestina alla politica internazionale. Ha diversi scheletri nell’armadio legati alla sua vita da imprenditore senza scrupoli e sono in molti quelli che nel partito repubblicano non lo considerano uno di loro. A lui, e ad altri candidati ormai decaduti, è stato affibbiato il titolo di RINO, che sta per Republican In Name Only e si pronuncia come la parola rinoceronte in inglese. Trump cerca consensi nei gruppi più disparati, dagli ultra-religiosi ai neri, ma le sue aperture nei loro confronti sanno tanto di espediente e non appaiono sincere. Ciò nonostante, il seguito che Trump incontra in vari strati della popolazione americana è molto forte perché il miliardario di New York è visto come uno spirito libero e non come uomo del sistema.
Hillary Clinton è corrotta e patologicamente bugiarda. Dai suoi esordi come avvocato agli anni passati come moglie del governatore dell’Arkansas fino ai due mandati presidenziali di Bill Clinton, agli otto anni come senatrice, all’incarico di Segretario di Stato conferitole da Obama, Hillary Clinton ha mentito spudoratamente senza preoccuparsi di essere colta in flagrante. E così le bugie sono diventate virali. Ora, nella fase decisiva della campagna presidenziale, continua a mentire sul suo uso illegale di un server di posta privato, sui soldi che entrano nella cosiddetta Clinton Foundation (una vera e propria associazione a delinquere), alla sfacciata vendita di influenza e favori. Oggi i suoi detrattori, di qualunque fede politica siano, si domandano se tutto questo le impedirà di arrivare alla Casa Bianca o se Obama continuerà a schermarla dagli attacchi più insidiosi. Dopotutto, Obama e la Clinton sono legati a filo doppio per varie losche vicende legate alla Libia e al Medio Oriente, e non dimentichiamo che il Dipartimento della Giustizia (cui fa capo l’FBI) riporta ad Obama ed è gestito da una sua fedelissima.
Viene spontaneo domandarsi come sia possibile che un paese come gli Stati Uniti d’America riesca alla fine a produrre solo merce avariata come candidati alla presidenza.
Mi ero posto la stessa domanda nel 2008, quando Obama era in lizza con McCain, e me lo domando ora.
Mag 16, 2016 | The Blog
La statua gigante di Mao quasi contemporaneamente eretta e distrutta
Scivola via nel silenzio totale il cinquantenario della rivoluzione culturale cinese.
Il cosiddetto “Regno di Mezzo” non ha celebrato i cinquant’anni trascorsi dal culmine della follia maoista e buona parte della stampa occidentale nemmeno ne ha fatto menzione. Un periodo di dieci anni di storia azzerato e passato sotto silenzio. *
Eppure esattamente 50 anni fa, con una direttiva del partito comunista cinese, aveva inizio un processo che si sarebbe concluso dopo un decennio con la morte di Mao e con l’arresto della “Banda dei Quattro”, che comprendeva la stessa Jang Qing, moglie del leader.
Il 16 Maggio 1966 cominciarono la caccia alle streghe ai danni dei portatori di “influenze capitalistiche e borghesi” e l’esplosione del culto della personalità di Mao.
Qualcuno nel mio gruppo d’età ricorderà ancora le Guardie Rosse (e le loro azioni criminali) e il Libretto Rosso, il manuale della rivoluzione culturale. La contestazione giovanile e il celebrato Sessantotto nostrani attinsero a piene mani alla retorica maoista e parte della sinistra italiana, primi fra tutti alcuni intellettuali e divi dello spettacolo, si lasciò trascinare dall’entusiasmo rivoluzionario e dai cosiddetti “Pensieri” di Mao Tsetung.
A parte la distruzione del patrimonio culturale della Cina (che fa pensare ai più recenti misfatti di Talebani e jihadisti dell’ISIS), ci furono milioni di morti. Parte dei morti furono vittime delle scorribande delle Guardie Rosse, centinaia di migliaia morirono durante le deportazioni imposte dal regime e il resto morì di fame a causa del crollo della produzione agricola. (Prima della Rivoluzione Culturale, un’altra delle riforme socio-politiche di Mao—il Grande Balzo in Avanti—aveva causato decine di milioni di morti tra carestie ed esecuzioni capitali.)
Oggi, a mezzo secolo di distanza, non è difficile cogliere la somiglianza tra la rivoluzione culturale di Mao e la follia nazifascista—a partire proprio dal titolo conferito a Mao di Grande Timoniere, che non può non ricordare Der Führer di Hitler o Il Duce di Mussolini.
Qualche mese fa, una gigantesca statua dorata di Mao (36 metri di altezza) fu distrutta poco dopo essere stata innalzata nella provincia scarsamente popolata dell’Henan. Qualcuno in Cina ha evidentemente rivisto in chiave critica il ruolo del Presidente, ma statuette commemorative del leader si trovano in commercio dappertutto e qualche esemplare autentico del libretto rosso si può ancora trovare su eBay a $5.
Pochi anni fa, durante un viaggio di lavoro in Cina, ho comprato un piccolo busto di ceramica raffigurante il Grande Timoniere e lo tengo su uno scaffale della libreria nel mio studio. Non è certo per ammirazione nei suoi confronti, ma perché è forse l’unico grande criminale della storia la cui effigie non è automaticamente motivo di pubblico ludibrio e censura nei confronti del possessore. Chissà perché, visto che—se i criminali si pesano in base ai morti che hanno causato—il Presidente Mao è quasi certamente il primo classificato davanti a Stalin, Hitler, Mussolini, Pol Pot, Assad, Saddam e Gheddafi.
(*) Da segnalare tuttavia un buon articolo del Corriere della Sera e un breve video della BBC
Apr 16, 2016 | The Blog
Sto cercando di calmarmi dopo aver visto la pubblicità degli spazzolini elettrici di Oral-B.
“Diventa un esperto”, recita lo slogan. Un esperto?
E’ pazzesco. E se un consumatore vuole solo lavarsi i denti senza diventare un igienista dentale? Ora sembra che usare lo spazzolino manuale sia roba da trogloditi inesperti.
(Detto questo, io uso lo spazzolino elettrico da anni ma respingo fermamente l’idea di essere diventato un esperto. Chi al posto della carta di giornale usa un rotolo di carta igienica non è un esperto, è uno che ha scelto una soluzione che ritiene migliore).
Perché creare il fittizio bisogno di diventare un esperto? Chi compra un cellulare octacore è un esperto rispetto all’acquirente di un più modesto dual core? Scegliere un processore più avanzato ti rende più esperto? Ti danno una laurea del MIT insieme al cellulare più caro al momento dell’acquisto? E’ tutta qui l’argomentazione di vendita per fare upselling (l’acquisto di beni o servizi di valore superiore)?
Detto questo, lo stupidario pubblicitario può passare ora ad affrontare l’impiego negli spot italiani degli A-lister, quegli attori che nel sistema americano sono i più quotati. Non a caso, sono definiti bankable, cioè già in grado di portarti un ritorno sull’investimento con la loro presenza nel cast.
No, non ce l’ho con George Clooney. Il sempre meno simpatico George ha firmato già da anni un patto col diavolo (la Nestlé) per fare l’ambasciatore di Nespresso. Il suo è un accordo globale e, a detta dello stesso Clooney, gran parte dei suoi proventi vanno a finanziare la sorveglianza via satellite (richiesta dall’attore) sul confine tra il Sudan del Nord e quello del Sud per far sì che il dittatore del sud, Al Bashir, si comporti correttamente. Non aggiungo altro. George ha perso la ragione.
Però io non ce l’ho con lui, né con le altre star come Julia Roberts, che appare negli spot globali di Lancôme. Sono abbinamenti strategici che danno un volto umano, un carattere al prodotto—un prodotto sofisticato e posizionato ai massimi livelli.
Mi danno invece ai nervi attori come Kevin Costner (che si è concesso una marchetta amalfitana per il tonno Rio Mare), Bruce Willis che fa l’imbecille per Vodafone Italia (spot girati in USA con cafonazzi italici importati per l’occasione), Owen Wilson che fa il pagliaccio per il Crodino o la stessa Julia Roberts che viene scambiata per commessa nel negozio flagship Calzedonia di Los Angeles (un punto vendita che in realtà non esiste).
Perché la corsa ai divi di Hollywood? Perché spendere milioni di euro in più per promuovere prodotti e servizi di uso comune? Forse per lusingare gli italiani facendo loro credere di essere diventati consumatori “esperti”? Non mi dite, siamo ora arrivati al rango di mercato sofisticato? Basta con le Ferilli, i Del Piero e i Brignano, nella pubblicità gli italiani si meritano i divi di Ollivud.
Ma se siamo convinti di questo, perché allora gli stessi pubblicitari continuano a spacciarci Carefree o Colgate pronunciati come si scrivono? Siamo consumatori maturi o degli ignoranti che vanno trattati in maniera paternalistica reinventando la pronuncia dell’inglese a loro uso e consumo?
O addirittura traducendo per gli italiani, popolo linguisticamente ritardato, i nomi delle marche e dei brand. Così Schwarzkopf diventa Testanera e Mr Clean qui da noi si chiama Mastro Lindo.
(Se proprio vogliamo cambiare una marca, proviamo a farlo dove si pone un problema reale. Per esempio, nel caso del Tonno Consorcio. Troviamo un nome che non faccia inorridire i puristi del tonno, che lo preferiscono senza sorcio.)