Harry e Bess

Harry e Bess

Harry Truman è stato un Presidente americano molto particolare.  E’ probabile che di decisioni vitali per il Paese nel corso della sua presidenza ne abbia prese altrettante (se non di più) di quante ne presero i 32 Presidenti che lo avevano preceduto, ma la vera misura della sua grandezza traspare da quello che fece una volta lasciata la Casa Bianca.

Al momento della sua morte, l’unico bene di sua proprietà era la casa in cui viveva, a Independence nel Missouri.  Era la casa che sua moglie aveva ereditato dai genitori e nella quale Bess e Harry vissero tutta la loro vita di coppia, eccetto per gli otto anni di presidenza (1945-1953).

Al momento di andare in pensione nel 1952, il solo reddito di Harry era la sua pensione dell’esercito che si diceva ammontasse a $13.507,72 l’anno.  Il Congresso, presa nota del fatto che Truman si pagava da solo perfino le spese postali, oltre a incollare personalmente i francobolli, gli riconobbe un’indennità e in seguito una pensione retroattiva, che fu portata a $25.000 annui.

Una volta insediato Dwight Eisenhower, il nuovo Presidente, Harry e Bess presero la macchina e se ne tornarono da soli in Missouri.  Il Servizio Segreto non li scortò, come invece è consuetudine oggi.

Quando da varie aziende gli vennero offerti incarichi importanti e ben pagati, Truman li rifiutò dicendo “Voi non volete me, voi volete il titolo di Presidente. Ma questo non è mio: appartiene agli americani e non è in vendita.”

Più tardi, il 6 Maggio1971, quando il Congresso si accingeva a insignirlo della Medaglia d’Onore in occasione del suo 87° compleanno, Truman la rifiuto scrivendo “Non ritengo di aver fatto nulla per meritare qualunque onorificenza, del Congresso o di altri.”

Quando era ancora Presidente, Truman si pagava sempre tutti i viaggi che faceva e perfino i pasti.

Uomini politici più recenti hanno trovato vari modi creativi di  far fruttare la presidenza dal punto di vista monetario, con il risultato di arricchirsi enormemente.  Anche i parlamentari hanno scoperto la formula dello sfruttamento del loro incarico e si sono pertanto riempiti le tasche grazie al mandato dato loro dagli elettori. Si è perfino arrivati al punto di vendere certi incarichi politici, vedi il recente caso dell’Illinois.

Aveva ragione il buon Harry Truman quando osservò: “La scelta che ho avuto nella vita è stata fare il pianista in un bordello oppure il politico. E per dire il vero, la differenza tra I due lavori è minima!”

Non vi piacerebbe che oggi ci fossero ancora statisti di questo calibro?

L’ultima pizza di Osama

L’ultima pizza di Osama

Alla fine è stata proprio la Old Economy a fregare Bin Laden. Se avesse usato una connessione Internet e qualche server proxy forse i Navy SEAL non l’avrebbero beccato.

Le informazioni che ci giungono dal nostro inviato a Rawalpindi dicono che quella sera lo sceicco saudita avesse voglia di pizza. A pochi minuti dal suo fortino abusivo (in questa regione del Pakistan sono un po’ indietro con i condoni edilizi) si trova una pizzeria gestita da due napoletani, Gennaro e Pasquale, che sono fuggiti da Portici per una storia di camorra e sono approdati qui perché sembrava un posto più tranquillo. Vai a immaginare…

Da tempo gli agenti ISI, i servizi segreti pakistani, ritenevano che la residenza di collina di Abbottabad ospitasse qualche pezzo grosso del terrorismo internazionale, ma solo da pochi mesi i sospetti si erano concentrati su Bin Laden. Era quindi solo questione di tempo prima che la sorveglianza elettronica degli USA si concentrasse sul “compound” nel Nord del Pakistan.

In assenza di qualunque collegamento telefonico o informatico, lo sceicco saudita comunicava con l’esterno tramite persone di fiducia che facevano acquisti e svolgevano commissioni per suo conto uscendo dal fortino e andando in città. Una volta al mese, il fattorino prendeva la Land Rover e andava fino a Islamabad a fare provvista di pistacchi e limoncello.

Ma sono stati in particolare i frequenti passaggi dei suoi emissari alla pizzeria Mergellina a destare i sospetti degli osservatori americani e a far partire un’operazione di sorveglianza mirata.

In realtà, Bin Laden abitava in zona da diversi anni e, come spesso avviene col passare del tempo, aveva iniziato a rilassare le misure di sicurezza che circondavano il suo soggiorno segreto. Inizialmente il suo entourage ordinava Pizza Margherita e birra analcolica, il tipo di ordinazione che da quelle parti passa del tutto inosservato.

In tempi più recenti, tuttavia, si era registrata una decisa preferenza per la Pizza Bomba, una ricetta a base di salame piccante e peperoncino, che si dice fosse comparsa proprio su richiesta del saudita nel menu della pizzeria Mergellina insieme a una birra con il 100% di malto italiano.

Il resto è storia, o lo diverrà tra breve. Messo sotto osservazione il messaggero che andava a ritirare le pizze, gli incursori della marina hanno avuto gioco facile nel catturarlo e nell’inviare nel fortino di Bin Laden due di loro accuratamente camuffati e truccati da jihadisti a bordo di un’Ape Piaggio che non era carica di pizze ma zeppa di armi ed esplosivi. Neutralizzate le sentinelle, i due SEAL hanno aperto i cancelli al resto della squadra di incursori e il capo storico di Al Qaeda è finito a faccia in giù nella pizza appena iniziata.

La notizia si è sparsa in maniera fulminea e si dice che a Tripoli il colonnello Gheddafi abbia subito cancellato l’ordine permanente di pizze per il suo bunker, passando per prudenza ai kebab. La prudenza non è mai troppa, o per dirla in inglese “better safe than sorry”, capisc’ ammé.

A che servono i re?

A che servono i re?

Dopo i funerali, i matrimoni sono la cosa che evito più accuratamente. Avrei perfino provato a evitare i miei, ma le polemiche sarebbero state molto antipatiche e quindi ho accettato di fare una breve apparizione.

Immaginate la mia sorpresa nel vedere l’importanza che la stampa italiana ha dato al matrimonio reale avvenuto a Londra nei giorni scorsi. Conoscete qualcuno che si è sparato tutta la telecronaca diretta delle nozze reali? Se sì, chiedetegli perché.

Che senso ha assistere al matrimonio di qualcuno che non conosci, in un Paese che non è il tuo e con in testa una corona che non ti riguarda?

Ah, ma forse la chiave è proprio quella. La corona.

Il matrimonio dei due pupazzi britannici è reale!

Se si fossero sposati Bill e Kat di Hounslow (un anonimo quartiere londinese a venti chilometri da Buckingham Palace) non ci sarebbe stata la televisione, né probabilmente gli sposi l’avrebbero desiderata. Sarebbe stato sufficiente un video saltellante girato con il telefonino e poi tutti al pub a celebrare.

La storia stucchevole e fittizia dell’erede al trono che sposa la cenerentola è stata chiamata (sorpresa, sorpresa!) una “favola moderna”. Non mi metterò a discutere del motivo per cui la gente debba andare a cercare le favole moderne, quando quelle antiche erano di gran lunga migliori e più ricche di significati.

La mia perplessità nasce dal fatto che la gente sia evidentemente ancora affascinata dai “reali”, compresi quegli squallidi personaggi di casa Savoia, una banda di accattoni che sono motivo di vergogna (ancora un altro) per l’Italia.

A che servono i re nel terzo millennio? Se i confini nazionali non contano più, se le monete si unificano e le leggi diventano comunitarie che motivo ha una nazione di mantenere un re e una famiglia reale?

“Tradizione” è la risposta standard.

Eppure quante istituzioni tradizionali e aziende iconiche sono sparite, si sono trasformate o sono passate di mano in Italia e all’estero? Il sole ha continuato a sorgere

Se il “royal tourism” riempie ancora gli alberghi, continuerà a farlo anche dopo aver liquidato la casa reale (7 anni di preavviso, Alitalia insegna) e aperto le stanze segrete alla curiosità della folla al prezzo di 20 sterline a testa.

Se uno è tanto stupido da agitare la bandierina inglese al passaggio della “royal couple”, investirà di sicuro l’equivalente di 22,50 euro per vedere la camera da letto o il gabinetto della regina Elisabetta.

Quinto potere

Quinto potere

L’integrità e la competenza della stampa televisiva sono due fattori essenziali nella società moderna.

Per questo motivo abbiamo istituito il premio “Stampa Italiana: Figure di Riferimento”, il cui scopo era individuare all’interno della categoria dei giornalisti televisivi dei “modelli di ruolo” per tutti quelli che si affacciano ora alla professione o intendono farlo.

Il premio prevedeva la scelta di dodici personaggi e la solenne premiazione in una serata di gala.

Tra le migliaia di candidature ricevute (non dimentichiamo che in Italia i giornalisti proliferano) la giuria ha dovuto operare una scelta, tanto dolorosa quanto necessaria, per eliminare:

–          I “marchettari”. Quegli operatori dell’informazione che, in cambio di favori, regali o vile contante, si vendono per pubblicizzare servizi e prodotti di qualche azienda.

–          I “politici”. Quei giornalisti che, sulla base delle direttive di partito, prendono una notizia di agenzia e la rigirano a uso e consumo dei loro padroni politici.

–          I “cialtroni”. Quelli che rimaneggiano materiale altrui e lo spacciano come farina del loro sacco. Tra questi ricordiamo i “finti inviati”, quelli che dall’estero fanno credere di riportare notizie di prima mano ma in realtà le leggono sui giornali locali e le riconfezionano.

–          I “pressappochisti”. Quelli che, trattando argomenti complessi, ripetono sbagliando cose dette da altri senza sentire il bisogno di andarsi a leggere qualcosa sull’argomento.

–          I “guru”. Quelli che passano per esperti in un determinato settore, ma in realtà appartengono a una o più di una delle categorie precedenti.

–          I “raccomandati”. Quelli che, pur dimostrando zero talento, zero capacità di sintesi, zero cultura e zero presenza, appaiono sullo schermo TV per conto di qualche telegiornale.

–          I “lettori”. Quelli che non sono capaci di guardare nella telecamera e declinare nemmeno le loro generalità senza l’aiuto di un foglietto sul quale c’è scritto tutto

–          I “periferici”. Quei corrispondenti locali che vivono negli angoli remoti del Paese e non compaiono mai in TV. Poi, complice un disastro o un evento imprevisto nella loro zona, si ritrovano davanti alle telecamere e, per l’emozione, non parlano nemmeno l’italiano.

Al termine del processo di eliminazione, i giudici si sono ritrovati con un solo giornalista rimasto e, visto che era pure un tipo simpatico, hanno disdetto la cena di gala se lo sono portato in pizzeria.

A Sud niente di nuovo

A Sud niente di nuovo

8 anni fa, il 19 Marzo 2003, un raid aereo americano segnava l’inizio della seconda Guerra del Golfo, che sarebbe culminata nella sconfitta del regime di Saddam Hussein e nell’occupazione dell’Iraq.

Oggi, un lancio di missili cruise anglo-americani e le operazioni di cacciabombardieri francesi nei cieli libici hanno dato il via a una campagna militare sancita da una risoluzione ONU per impedire al regime di Muammar Gheddafi di reprimere nel sangue la guerra civile scoppiata nel Paese.

Ieri ed oggi, l’arma principale delle due dittature rimane la retorica.

Saddam minacciava “la madre di tutte le battaglie”, una patetica illusione pagata con la vita da migliaia di soldati iracheni. L’eterno  colonnello di Tripoli promette a sua volta una “guerra lunga” e assicura che la Libia “diventerà un inferno per gli aggressori”.

Il tutto condito da stanchi riferimenti alle crociate, un tema molto caro sia all’integralismo islamico che agli “uomini forti”, ai Leader Fraterni che non esitano a massacrare i loro stessi cittadini.

Niente di nuovo nemmeno nell’astensione cinese dal voto al consiglio di sicurezza dell’ONU. La Cina ha identificato nella Libia un partner importante e nel Paese nordafricano operano 75 ditte cinesi. I 35.000 dipendenti cinesi residenti in Libia sono stati evacuati nelle scorse settimane con un impegno logistico senza precedenti da parte di Pechino.

Invariata anche l’ambivalenza italiana nei confronti della Libia. Il Paese africano investe in Italia da decenni, a sua volta l’Italia assorbe il 40% dell’export libico. Da anni poi, contemporaneamente agli scambi commerciali, va avanti il balletto post-coloniale tra Roma e Tripoli, con la richiesta dei danni di guerra da una parte e con l’impegno dall’altra a compensarli con la realizzazione di infrastrutture.

L’Italia è sempre stata uno dei Paesi europei più disposti a vendere tecnologia a Tripoli aggirando l’embargo americano. L’escalation della guerra civile in Libia ha quindi creato forte imbarazzo su questa sponda del Mediterraneo, dove il deprecabile episodio del baciamano di Berlusconi a Gheddafi è solo la punta grottesca dell’iceberg. Ecco quindi spiegati i toni cauti dei politici italiani nel fornire il dovuto appoggio logistico ai partner NATO.

Solo la conclusione delle operazioni militari di questi giorni potrà rivelare quali e quanti equipaggiamenti bellici italiani siano attualmente utilizzati dalle forze armate libiche nel contrastare l’operazione NATO che gli americani chiamano Odyssey Dawn. Non è quindi da escludere che nuove imbarazzanti rivelazioni vadano ad aggiungersi al millenario dossier dei rapporti tra Italia e Libia.

Ma la stampa italica, nonostante le nostre ricorrenti frequentazioni del suolo libico, sembra ancora avere qualche difficoltà nel consultare le carte geografiche. Questa mattina, sul sito Rai Giornale Radio si poteva leggere “A Tobruk, città dell’estremo ovest in mano agli insorti, era esplosa la gioia.” La notizia veniva  poi ripresa da decine di giornali e siti Web nazionali. Ma se cercate Tobruk sulla cartina della Libia dovete andare all’estremità Est del Paese, al confine con l’Egitto. Ma se la RAI ha detto che Tobruk è a Ovest, dev’essere sbagliata la cartina…

(Nell’immagine: Settimio Severo, libico di Leptis Magna, imperatore romano. 146-211 d.C.)