8 anni fa, il 19 Marzo 2003, un raid aereo americano segnava l’inizio della seconda Guerra del Golfo, che sarebbe culminata nella sconfitta del regime di Saddam Hussein e nell’occupazione dell’Iraq.

Oggi, un lancio di missili cruise anglo-americani e le operazioni di cacciabombardieri francesi nei cieli libici hanno dato il via a una campagna militare sancita da una risoluzione ONU per impedire al regime di Muammar Gheddafi di reprimere nel sangue la guerra civile scoppiata nel Paese.

Ieri ed oggi, l’arma principale delle due dittature rimane la retorica.

Saddam minacciava “la madre di tutte le battaglie”, una patetica illusione pagata con la vita da migliaia di soldati iracheni. L’eterno  colonnello di Tripoli promette a sua volta una “guerra lunga” e assicura che la Libia “diventerà un inferno per gli aggressori”.

Il tutto condito da stanchi riferimenti alle crociate, un tema molto caro sia all’integralismo islamico che agli “uomini forti”, ai Leader Fraterni che non esitano a massacrare i loro stessi cittadini.

Niente di nuovo nemmeno nell’astensione cinese dal voto al consiglio di sicurezza dell’ONU. La Cina ha identificato nella Libia un partner importante e nel Paese nordafricano operano 75 ditte cinesi. I 35.000 dipendenti cinesi residenti in Libia sono stati evacuati nelle scorse settimane con un impegno logistico senza precedenti da parte di Pechino.

Invariata anche l’ambivalenza italiana nei confronti della Libia. Il Paese africano investe in Italia da decenni, a sua volta l’Italia assorbe il 40% dell’export libico. Da anni poi, contemporaneamente agli scambi commerciali, va avanti il balletto post-coloniale tra Roma e Tripoli, con la richiesta dei danni di guerra da una parte e con l’impegno dall’altra a compensarli con la realizzazione di infrastrutture.

L’Italia è sempre stata uno dei Paesi europei più disposti a vendere tecnologia a Tripoli aggirando l’embargo americano. L’escalation della guerra civile in Libia ha quindi creato forte imbarazzo su questa sponda del Mediterraneo, dove il deprecabile episodio del baciamano di Berlusconi a Gheddafi è solo la punta grottesca dell’iceberg. Ecco quindi spiegati i toni cauti dei politici italiani nel fornire il dovuto appoggio logistico ai partner NATO.

Solo la conclusione delle operazioni militari di questi giorni potrà rivelare quali e quanti equipaggiamenti bellici italiani siano attualmente utilizzati dalle forze armate libiche nel contrastare l’operazione NATO che gli americani chiamano Odyssey Dawn. Non è quindi da escludere che nuove imbarazzanti rivelazioni vadano ad aggiungersi al millenario dossier dei rapporti tra Italia e Libia.

Ma la stampa italica, nonostante le nostre ricorrenti frequentazioni del suolo libico, sembra ancora avere qualche difficoltà nel consultare le carte geografiche. Questa mattina, sul sito Rai Giornale Radio si poteva leggere “A Tobruk, città dell’estremo ovest in mano agli insorti, era esplosa la gioia.” La notizia veniva  poi ripresa da decine di giornali e siti Web nazionali. Ma se cercate Tobruk sulla cartina della Libia dovete andare all’estremità Est del Paese, al confine con l’Egitto. Ma se la RAI ha detto che Tobruk è a Ovest, dev’essere sbagliata la cartina…

(Nell’immagine: Settimio Severo, libico di Leptis Magna, imperatore romano. 146-211 d.C.)