I vassalli di Pechino

I vassalli di Pechino

Qualche giorno fa ho espresso la mia profonda costernazione per il giro di vite repressivo che ha di fatto soppresso l’autonomia di Hong Kong, oltre a dichiarare fallito l’esperimento “one country, two systems”.

i 50 anni di “elevata autonomia” promessi dalla Cina alla ex-colonia britannica al momento della sua cessione nel 1997 non sono durati nemmeno la metà di quanto promesso.

Il primo Luglio scorso, che segnava appunto il 23° anno di questa travagliata gestione cinese di Hong Kong, ha visto un altro fatto vergognoso.

Cuba, una nazione fallita sempre al servizio del padrone di turno, ha osannato l’intervento legislativo cinese che ha praticamente spazzato via il dissenso a Hong Kong presentando una risoluzione a supporto di Pechino presso il Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU.

Con L’Avana hanno votato a favore altri 52 stati, che meritano di essere qui elencati: Cina, Antigua e Barbuda, Bahrein, Bielorussia, Burundi, Cambogia, Camerun, Repubblica Centroafricana, Comore, Congo-Brazzaville, Gibuti, Dominica, Egitto Guinea Equatoriale, Eritrea, Gabon, Gambia, Guinea, Guinea-Bissau, Iran, Iraq, Kuwait, Laos, Libano, Lesotho, Mauritania, Marocco, Mozambico, Myanmar, Nepal, Nicaragua, Niger, Corea del Nord, Oman, Pakistan, Palestina, Papua New Guinea, Arabia Saudita, Sierra Leone, Somalia, Sud Sudan, Sri Lanka, Sudan, Suriname, Siria, Tajikistan, Togo, Emirati Arabi Uniti, Venezuela, Yemen, Zambia e Zimbabwe.

La maggior parte di queste nazioni, note per violare sistematicamente i diritti umani, sono anche aderenti alla “Nuova Via della Seta”, l’ultima trovata di Pechino per incastrare finanziariamente paesi in via di sviluppo e fagocitarli.

Contemporaneamente, una mozione di condanna della Cina per le violazioni dei diritti umani a Hong Kong e nello Xinjang è stata presentata dalla Gran Bretagna con l’adesione di Australia, Austria, Belgio, Belize, Canada, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Islanda, Irlanda, Germania, Giappone, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Isole Marshall, Olanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Palau, Slovacchia, Slovenia, Svezia e Svizzera e Regno.

Dov’era l’Italia?

L’Italia di Di Maio si è astenuta. Non è un segreto che la fede grillina imponga deferenza nei confronti dei cinesi, ma quanto è appena successo dimostra la totale mancanza di decenza di questo governo.

Osserva Bethany Allen-Ebrahimian di Axios: “Pechino è riuscita a far leva sul Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU perché avallasse proprio quelle attività che era stato creato per contrastare.”

Per chiudere, è proprio il caso di citare la celebre frase attribuita a Edmund Burke:

Perché il male trionfi è sufficiente che i buoni rinuncino ad agire.*

  • Quando Burke si riferiva ai buoni, non considerava i buoni a niente.
Farewell to Hong Kong

Farewell to Hong Kong

I reminisce about my time in Hong Kong with the heartache you associate with losing a friend.

After years of frequent stays, my trips to this bewitching place came to an end with my retirement.

If that were not reason enough for a hefty dose of melancholy, the current state of affairs in HK warrants immense sadness.

In 1997, when the UK handed over its former colony to China, many feared this would be the end of Hong Kong as they knew and loved it. Now, as the 23rd anniversary of the island’s return to Chinese rule approaches, it’s become all too obvious that Beijing has lastly dropped its tolerant mask and the one-country, two-systems sham has been finally exposed for what it is.

Back before the handover, Beijing had pledged to give Hong Kong 50 years of a “high-degree of autonomy”, but clearly never meant to deliver on its promise.

Indeed, July 1 in Hong Kong has long been associated with protests against the heavy hand of Beijing since that fateful raising of the CCP flag at midnight on June 30, 1997.

This time, however, the Hong Kongers’ worst fears have become reality and a Tiananmen-style crackdown on the inevitable demonstrations looks frighteningly real.

I may never return to Hong Kong—and if I ever do, I’m not sure how different it will be.

My heart goes out to its people on this first of July, 2020.

 

Il bianco che si odia

Il bianco che si odia

Dopo la Unilever, anche L’Oréal si è affrettata a rinominare tutti I suoi prodotti che nella loro descrizione contengono la parola “whitening”, cioè sbiancante.

Questo, secondo loro, servirebbe a testimoniare la presa di distanza delle aziende dal razzismo e dai fenomeni di discriminazione.

In realtà quanto sopra non è che l’ennesima dimostrazione dell’ipocrisia dei grandi marchi, che mirano solo a non essere gli ultimi nella corsa al “virtue signaling”, che è il propagare un’immagine virtuosa e aliena da qualunque forma di discriminazione. Quanto sopra, beninteso, solo a parole e sui social media.

Ma così facendo queste aziende dimostrano solo la loro profonda superficialità e idiozia. Che cosa c’è di razzista nel desiderare una dentatura bianca e splendente o una pelle più chiara?

L’idea di fondo è quella di mostrarsi più socialmente “impegnati” della concorrenza. Se non riesci a far crescere il valore del marchio per la qualità del prodotto, devi scimmiottare l’ideologia progressista, non importa quanto stupida.

Ma qualcuno ha chiesto a un focus group di non bianchi se un dentifricio che promette denti candidi li offende davvero?

E cosa fare con i detersivi? Anche qui, seguendo il ragionamento di cui sopra, il rischio è grosso.

Vogliamo bandire le lenzuola o le T-shirt bianche a favore di biancheria nelle tonalità di marrone?

Ma non rischiamo così di offendere la sensibilità di coloro la cui pelle non è marrone? Siamo poi sicuri che africani, indiani e cinesi detestino il colore bianco? Non è per caso un po’ troppo semplicistico?

A mio avviso, questa corsa alla auto-demonizzazione della razza bianca e la frenesia con cui una minoranza di idioti foraggiati da interessi politico-economici si è votata alla distruzione delle statue e dei monumenti del passato e di tutto ciò che è “bianco” è profondamente—sì, è il momento di dirlo—razzista. Perché dico razzista? Perché questo approccio è un insulto nei confronti delle alre razze.

Sono veramente così stupidi i non bianchi da sentirsi emancipati e appagati se si tirano giù le statue dei navigatori europei del passato o se il dentifricio non sbianca più i denti? Non credo proprio.

Non a caso, due terzi dei partecipanti alle manifestazioni di protesta e all’abbattimento delle statue in USA erano bianchi, come sono sicuramente quei dirigenti di Unilever e L’Oréal che hanno fatto la loro patetica pensata. Bianchi che odiano sé stessi e che credono, così facendo, di essere utili a qualcuno.

The new proxemics

The new proxemics

Illustration from “The Hidden Dimension” by Edward T. Hall © 1966, 1982 Anchor Books Editions

Proxemics, as one definition goes, is the study of spatial distances between individuals in different cultures and situations.

Students of cultural anthropology and non-verbal communication will recall the foundational contribution made by Edward T. Hall in this area, in particular by his book The Hidden Dimension (1966), which deals with the “language of space” in different cultures.

Hall posited that there is a direct correlation between social standings and physical distances between people.

He went on to divide the distance we keep from other individuals into 4 zones, namely Public Space (roughly 4 to 8 meters), Social Space (1.5 to 4 meters), Personal Space (0.5 to 1.5 meters) , and finally Intimate Space (from physical contact to 0.5 meters). These zones serve as a mere indication as they are affected by cultural codes and other factors.

It’s a known fact that gender, status, ethnicity, and social situation will influence distances in each zone.

But all that was settled science until the Spring of 2020.

The Covid-19 pandemic has now redrawn our social boundaries. Possibly for the first time in history, our spaces have been redrafted by legislators and are enforced by law.

Entering an office-building elevator, boarding a subway train, stopping for a chat with a neighbor while walking our dog used to be actions governed by what Hall called our “distance regulators.”
Now there’s a new, added factor that falls under the heading of safety.

How safe do I feel by standing here?

This pandemic will eventually fade away but our new proxemics is likely to stay on.

Improvise, Adapt, Overcome!

Improvise, Adapt, Overcome!

Improvvisare, Adattarsi e Prevalere.

Non è farina del mio sacco, è il motto dei Marines americani.

Quanti di noi avevano fatto altri piani per la Primavera 2020? Direi tutti, senza paura di sbagliarmi.

Quanti di noi hanno reagito alla catastrofe umana ed economica del Covid-19?
Direi molti, ma non so azzardare una percentuale.
Ci sono anche quelli che si sono rassegnati, hanno staccato la spina della loro attività e stanno aspettando tempi migliori per vedere se riescono a ripartire.
Qualcuno scoprirà che darsi da fare dopo la sirena del cessato allarme è troppo tardi.

Chi prevale sulle avversità è chi si è adattato e ha saputo improvvisare.

Vi racconto una storia di questi giorni come me l’ha riferita un amico. Niente nomi, per ovvi motivi, ma la storia è autentica al 100%.

Durante il lockdown, il mio amico ha avuto tutto il tempo per dedicarsi a un progetto che aveva in mente da tempo: cambiare macchina. Ha iniziato a sfogliare i siti dedicati al commercio di auto e dopo poco ha identificato una rosa di vetture che rispondevano alle sue esigenze. Il mio amico cercava:

  • Un modello particolare di automobile
  • Voleva pagarla una cifra ragionevole
  • Aveva un’auto di soli tre anni da dare in permuta
  • Non voleva spingersi a più di 300 km dalla sua residenza

Dai primi contatti con i rivenditori di auto selezionati è emerso che:

  • L’auto pubblicizzata non era più disponibile, ma ce n’era un’altra simile—ovviamente più cara
  • L’auto che lui voleva dare in permuta era valutata una miseria, rendendo fallimentare l’operazione
  • Nella migliore delle ipotesi, dopo una piacevole conversazione con il venditore, ci si dava appuntamento a fine emergenza
  • Qualcuno non rispondeva nemmeno alla richiesta di contatto

Finché non è arrivata la risposta di un autosalone situato a 30 minuti di distanza. Dopo uno scambio iniziale di informazioni, il venditore ha offerto al mio amico la possibilità di visionare e provare su strada la vettura in vendita.

“Ma come facciamo? Io non posso uscire di casa e voi nemmeno…” ha detto il mio amico perplesso.

Improvise, Adapt, Overcome

Il venditore ha affittato per un paio d’ore un carro attrezzi e ci ha caricato la vettura in vendita. E’ poi andato all’indirizzo del mio amico, gli ha fatto provare l’auto nelle strade circostanti e ha anche avuto modo di visionare l’auto data in permuta.
Nessun vigile fermerà un camion del soccorso stradale con una vettura sul pianale. E’ qui che risiede la genialità dell’idea.
In un’ora l’affare è stato fatto, gli accordi sono stati presi. La transazione si è conclusa secondo la virtuosa formula del Win-Win.
Malgrado abbia accusato un notevole calo dell’attività di compravendita, questo autosalone non ha mai smesso di lavorare dall’inizio dell’emergenza.

Meditate, gente, meditate…