Che gente
Anche un motociclista convinto come me non disdegna il trasporto pubblico, specialmente se le condizioni meteo sono piuttosto invernali.
Eccomi quindi alle 7 del mattino che attraverso Milano in metropolitana, in una carrozza piena di gente strana. Mentre con la coda dell’occhio studio i miei compagni di viaggio, mi chiedo che cosa vedano nello specchio la mattina quando stanno per uscire di casa e in base a quali criteri si considerino presentabili…
Alla mia sinistra siede un tipo sulla quarantina che indossa uno di quei berretti di lana lapponi con il pon-pon in cima e due lunghi paraorecchie che finiscono in un cordino e un altro pon-pon per lato. Porta un paio di occhiali spessi e un mezzo sorriso stampato in viso con i denti superiori sporgenti. Forse ascolta la musica con le cuffiette nascoste dal berretto, o forse non gli serve nemmeno l’MP3: tanto la musica ce l’ha in testa. Sembra un buon diavolo, ma non ha l’aria del candidato al premio Nobel.
Di fronte c’è una tizia bassa dai folti capelli neri e con un baschetto alla francese calcato in testa che le azzera interamente la fronte conferendole un’espressione abbastanza ebete. Porta un paio di occhialoni da vista tondi appoggiati su un naso stretto e piatto che all’improvviso finisce in un bulbo proiettato in fuori.
Ha labbra sottili, quasi inesistenti e sotto spunta un mento prominente che fa concorrenza al naso. Ora tira fuori un tubetto di lip gloss, estrae il pennellino e, nonostante gli scuotimenti del treno, riesce a centrare le labbra senza imbrattarsi naso e mento. Potenza della pratica. Ora ha finito di truccarsi. Io non vedo la differenza, ma lei sì ed è questo che conta.
In piedi nel mezzo della carrozza c’è uno che indossa un piumino antartico troppo grande di almeno una misura per il suo fisico esile. La giacca ha incorporato un cappuccio imbottito con visiera che lui tiene calata sugli occhi. Il collo è alto e lui lo tiene ben serrato sopra il mento con il cordino elastico. Nel vagone ci sono almeno 20 gradi, ma lì dentro lui ne avrà almeno il doppio. Dalla giacca polare spuntano due gambe di pantaloni di completo e in fondo ai pantaloni spiccano due scarpe color zucca dalla punta quadrata.
Tra i piedi c’è una borsa da computer nera. Uno smanettone freddoloso?
Mentre studio la gente bizzarra che mi circonda mi rendo conto di essere arrivato alla mia fermata. Mentre scendo mi abbottono il cappottone beduino di lana grezza e mi calco in testa il colbacco in pelo dell’armata rossa. Sul pavimento in gomma della stazione, i miei stivali Western fanno un tic-toc quasi impercettibile.
Facce di Bronzi
- Accept that Italy is not a service-oriented culture”. (Elizabeth Heath, blogger di “MyVillageinUmbria”)
- “I understand this is Italy and I cannot expect the efficiency of Scandinavia” (utente finlandese di TripAdvisor)
- “Völlig unerwartet aber super…”(trad.: del tutto inaspettato ma ottimo) (cliente tedesco di Venere.com reduce da un hotel in Calabria)
Questi sono tre commenti pescati a caso sul Web e che descrivono la qualità del servizio riscontrata da viaggiatori stranieri in Italia.
Perché il visitatore tedesco usa l’aggettivo inaspettato? Perché è risaputo che in Italia la qualità del servizio sia generalmente carente, le strutture disorganizzate e i servizi caotici.
Eppure l’importanza del turismo per questo Paese è nota da secoli. E in tempi recenti, mentre l’industria manifatturiera continua a perdere centinaia di migliaia di posti di lavoro, il turismo in Italia potrebbe ancora rappresentare un settore in crescita.
E allora perché il servizio rimane una nota dolente? Per quale motivo non si riesce ad equilibrare la qualità delle attrattive turistiche con quella del servizio e delle infrastrutture?
Nel corso dei decenni, i vari pupazzi che si sono succeduti al dicastero del turismo (nelle sue varie incarnazioni) e all’Enit (l’agenzia del turismo) si sono dimostrati particolarmente incapaci nel creare e sviluppare una cultura del servizio, affidandosi invece alle sterili e scontate celebrazioni di località e bellezze naturali italiane. Hanno speso miliardi in campagne insulse, faraoniche quanto affollate missioni di lavoro all’estero e una miriade di convegni e simposi fini a se stessi.
L’Enit, in particolare, arranca dal 1919 guidato da figure evanescenti e inconcludenti, nessuna delle quali ha lasciato il minimo segno della sua presenza (se non – ovviamente – per la gestione spensierata dei fondi e l’inefficacia degli investimenti).
Ricordo con imbarazzo l’intervento di uno dei tanti presidenti dell’Enit (questo era democristiano DOC e regnò negli anni 80) che sentii proclamare con foga oratoria: “Tanto, se vogliono il sole e il mare, qui da noi devono venire”. Non rammento se la sua affermazione idiota fu pronunciata dopo le libagioni prandiali, nel qual caso la colpa poteva essere del vino.
L’attuale titolare è salito alla ribalta della cronaca nel 2009 per aver pubblicato su La Repubblica una lettera aperta indirizzata a suo figlio nella quale lo esortava a lasciare l’Italia per cercare fortuna all’estero. Tre anni dopo veniva comunque nominato alla presidenza dell’Enit, a ulteriore dimostrazione della memoria corta degli italiani e di quanto contino gli spintoni della politica.
Oggi l’Enit, che si potrebbe definire l’ombra di quello che era una volta se non fosse sempre stato un buco nero di idee e soldi, ha una presenza online miserabile, dove peraltro si autodefinisce così in un inglese sgangherato: ENIT – Agenzia Nazionale del Turismo promotes the overall image of the national tourism offer and supports its marketing activities.
Una brutta traduzione letterale che è però un acconcio biglietto da visita per un’istituzione che è da sempre un parcheggio di lusso per boiardi di stato spompati e un territorio conteso nelle lottizzazioni tra partiti.
Chissà quando è stata l’ultima volta (o magari la prima) che un presidente dell’Enit ha incontrato un turista in visita in Italia e ne ha raccolto i commenti…
The value of good advice
Back in the days of steamship voyages, experienced British travelers would pick the right cabins for their crossings to and from India based on the formula “port outbound, starboard home”(*), so that their staterooms would always be on the shady, cooler side of the ship. These were the most sought-after cabins for the long crossings and the first ones a savvy travel agent would know to recommend to his upper-crust clientele. Choosing a cabin at random would have made for a pretty sweaty journey and a frightfully annoyed British customer.
The hotel and apartment rental operators on the Asian side of Istanbul promote their accommodations as being more reasonably-priced and located in quieter neighborhoods than those of their competitors on the European side. They conveniently omit the fact that the look and feel of the Turkish metropolis changes dramatically when you cross the Bosphorus.
The “real” Istanbul is on the other side. If you stay in the Asian district of Kadiköy, the fascinating skyline of the Sultanahmet hill with its world-famous mosques looks tantalizingly close, but it might prove a nightmare to reach. The road bridges are solid with traffic and your taxi ride will prove long and expensive. Crossing by ferry is a better solution, although far from ideal.
If you’re a tourist or a business person whose interest lie on the European side, stay there. A knowledgeable travel consultant would tell you just that.
Feel like a hop to Frankfurt for a weekend stroll down the Konstablerwache? Or going to Messe Frankfurt for a trade exhibition? Don’t be fooled by the Ryanair sham of calling their airport Frankfurt-Hahn. The city of Frankfurt lies way off to the East of Hahn and your café table on the Konstablerwache is exactly 125 kms away, that is 2 + 2 hours of your German weekend wasted.
If it’s Frankfurt you want, fly to the real Frankfurt am Main airport, which is located just on the outskirts of “Mainhattan” and extremely well connected to the city center. This is good advice because it does not originate from Ryanair.
Don’t you love those amazing photos of ochre-colored Ligurian villages nestled on the side of a steep green hill and mirrored in a sea of deep blue? Wouldn’t you want your room to be the one located just a few steps away from the beach, with a great, unobstructed view of the Mediterranean? Of course you would. But before you click the Buy button, take a look at that apartment or hotel from a different angle.
If you have its address, look it up on Google Maps. How far is it from the railroad and the coastal highway? When Liguria came out of the sea a few zillion years ago, nobody thought of making room for railroads and traffic lanes.
A large majority of Ligurian apartments and hotel rooms are blighted by the vicinity of a busy road or train tracks (or both). It pays to check this out before you fall in love with that delightful room with a view.
Did you know that you can drive to your home away from home in Venice, park on the street and take your bags to your apartment in a matter of minutes? If you’re traveling with children or a disabled person, this can make a world of difference. And you can be in Piazza San Marco in less than 20 minutes with Venice’s fantastic skyline drawing nearer as your vaporetto approaches its destination.
All you have to do is book your accommodation in Venezia Lido, which is to say Venice’s beachfront neighborhood. When you approach Venice from the mainland, exit at Tronchetto and board a car-ferry to Lido. As simple as that. Does your average travel consultant know this?
New York is a fascinating side to America. So incredibly different that many Americans (and assorted world travelers) do not consider it as part of the United States but a microcosm apart. And even within the Big Apple, its five boroughs (Manhattan, Queens, Brooklyn, Bronx and Staten Island) each have their different identities. But your average white-knuckled tourist doesn’t have a clue and is therefore excused if s/he thinks that the New York experience they have in mind can be had anywhere in NYC. Flatbush in Brooklyn and the Upper West Side in Manhattan are worlds apart, also pricewise. Where is it safer to take a midnight stroll? This is where expert advice comes in to save the day (and possibly the whole travel experience).
Several years ago, just before the Internet Age, my SO and I decided we wanted to ski in Canada. We picked Banff, a well-known location in the Canadian Rockies. We meant serious business and we brought our own skis with us all the way from Europe. After we landed in Calgary, we took a Brewster Transportation bus to Banff and we got there in the evening after a 2-hour ride. The next morning, as the European alpine skiing tradition dictates, we walked out of our hotel in full skiing attire, shouldering our skis with the panache of black-run aficionados. After all, we’d skied the Italian Alps and the Dolomites, Deux Alpes in France, all of Tyrol, and Davos in Switzerland. We knew our stuff. What we did not know was where the stupid ski-lifts were located. There were no signs outside the hotel and the most ominous clue was that nobody else was dressed for skiing. Uh-oh.
That morning, I leaned my skis against the wall and walked back in to see the concierge. I asked him where the ski-lifts were and he said: “They’re in Lake Louise, up that way”.
“Up that way” turned out to be 60 kilometers down the Trans Canada Highway, so our morning skiing began at the Avis counter where we rented a car.
We had pictured ourselves walking over to the ski-lift like we’d done countless times in Europe and we were dead wrong.
You might ask yourselves at this point: Where is all this going? I think you already know.
In the Internet Age, Mr. and Ms. Tourist don’t need any help to book almost anything from the comfort of their own home. That’s why more than half of the world’s travel agencies have gone belly up.
Where travel consultants can play a vital role, one that will be greatly appreciated and bring those customers back to them, is when their sound advice and expert knowledge of the locations made a difference in
the customers’ stay. (And this doesn’t just apply to the travel sector. Good advice is added value in every industry).
And now, if you’ll excuse me, I must self-plan my rollerblade tour of Nepal at Christmas.
(*)The notion that the adjective “posh” originated from this formula as an easy mnemonic has been all but proved a myth. It’s a so-called “backronym” with no actual foundation in reality. I thought you might want to know.
Elogio dell’autoironia
In un supermercato vicino casa ho trovato un Syrah francese e ne ho comprato al volo una dozzina di bottiglie.
Premetto che il Syrah è un vino che mi piace molto e negli anni ho avuto modo di apprezzarne le diverse varietà francese, siciliana e australiana.
Ma la ragione per la quale ho comprato più bottiglie di questa particolare casa del Languedoc è l’inconsueta etichetta: Arrogant Frog.
Frog è un epiteto poco cortese riservato dagli inglesi ai loro eterni rivali, i francesi. Sarà per l’allitterazione French/Frog, sarà per la “r” dei francesi che all’orecchio britannico ricorda il verso della rana, o per via della specialità francese cuisses de grenouille – o più probabilmente per un misto delle tre ragioni.
Perché una casa vinicola francese decida di chiamarsi Arrogant Frog ci vuole però una bella dose di autoironia, e a mio avviso l’autoironia si associa sempre a un elevato livello di intelligenza. Confesso di avere un debole per chi (individuo o organizzazione) mostri di possedere questa dote.
Inoltre, se sai di produrre vini scadenti, invece di darti nomi creativi come questo, pensi a nasconderti dietro formule collaudate e titoli rassicuranti. Insomma, ho pensato, il vino di questa casa dev’essere niente male…
Ecco quindi perché in cantina ho fatto posto alla Rana Arrogante, preferendola ad altre etichette che conoscevo già. E non è la prima volta che mi lascio sedurre dalla grafica e dalla creatività dell’etichetta quando compro una determinata bottiglia per la prima volta
Ah già, qualcuno mi chiederà : e com’era il vino?
Ha un bel colore rubino, è morbido e profumato. Altro dirvi non so, non sono un intenditore. A me piace molto e, chi dei miei amici l’ha assaggiato, lo ha apprezzato. Per me basta e avanza.