La brevità del volo non deve ingannare: la Libia è vicina ma è sempre Terzo Mondo.
Una volta nel terminal aeroportuale di Tripoli, l’attesa al controllo passaporti è interminabile.
Ma c’è un buon motivo: in fila si mettono solo gli sprovveduti, quelli che entrano in Libia per la prima volta.
Nella zona arrivi girano diversi faccendieri, che raccolgono i passaporti dei viaggiatori abituali affidatisi alle loro cure, ne fanno un bel mucchio e poi, passando sfacciatamente davanti alla fila, li piazzano sul banco del funzionario (che li esamina subito facendo aspettare tutti gli altri, in cambio sicuramente di un congruo corrispettivo in denaro).
Ma non vi azzardate a superare di un centimetro la riga gialla che separa il primo della fila dal banco del funzionario. Lui è inflessibile e vi riprenderà severamente, mentre un altro piccolo imprenditore locale entra nella garitta e gli consegna un’altra dozzina di passaporti VIP.
L’assurdità della situazione gli sfugge del tutto, mentre con sguardo torvo fissa il passaporto del “privatista”, che dopo due ore di attesa è finalmente arrivato alla meta.
Per la prima ora, mentre la fila sembra non muoversi di un centimetro, sul piazzale si vede ancora l’aereo che ti ha portato in Libia e più volte ti prende la voglia di tornare indietro e lasciarti alle spalle questo misto di arroganza e ignoranza che pochi altri paesi sanno esprimere in maniera così sublime come la Libia.
Poi, raccolto il bagaglio e usciti all’aperto, parte la solita ricerca della persona che porta il cartoncino con sopra il tuo nome.
Il mio contatto si chiama Ali, parla molto bene l’Italiano e sarà il mio interprete e autista in cinque giorni di ricerca di opportunità di mercato per la mia azienda.
In Libia non ci sono elenchi del telefono o pagine gialle, mentre le directory su Internet sono una totale perdita di tempo. Se vuoi sapere chi fa che cosa, devi prendere una macchina e iniziare a girare per Tripoli e Bengasi con qualcuno che conosca il paese e parli la lingua. E’ una ricerca capannone per capannone, basata sul sentito dire e su indicazioni frammentarie, una mangiata di polvere e di chilometri inutili.
Ma dopo cinque giorni, tanta strada e altrettanta frustrazione, mi rimane mezza giornata di tempo e mi regalo finalmente una visita alla zona archeologica di Leptis Magna. Ali è ben felice di portarmici: anche per lui è una reazione alla futilità degli ultimi giorni.
D’improvviso, la sporcizia, la puzza, la polvere, l’inconcludenza e la birra senza alcol spariscono per magia. L’incredibile bellezza di questa città romana affacciata sul mare mi ripaga di tutto.
Mentre l’aereo si solleva dalla pista di Tripoli, non ho rimpianti di alcun genere. Ma un giorno vorrei tornare a Leptis Magna e percorrere di nuovo le sue strade lastricate e guardare il suo mare attraverso le colonne.