(segue da “Once upon a time in the Aegean”)

Arrivo a bordo della Delos un pomeriggio caldo e assolato e salgo la passerella che dalla banchina di Ancona porta alla Reception della nave. Appena entrato nella relativa oscurità di bordo (il banco del ricevimento è situato in un ponte intermedio e privo di luce naturale), mi assale un’aria calda di odore indefinibile, un misto di gasolio, di moquette unta e di cibo rancido.

Mentre aspetto di essere sistemato in una cabina, assisto a un viavai di marinai e camerieri che rientrano a bordo dopo aver fatto incetta di detersivi e casalinghi nei negozi di Ancona. Evidentemente – mi dico – deve trattarsi di generi difficili da trovare in Grecia.

Mi assegnano una cabina a due letti a castello nel ponte più basso della nave e senza un oblò. Non soffro di claustrofobia e mi accontento. Anzi, il letto inutilizzato mi serve per depositare un po’ del mio bagaglio. Non sono un turista e per me ora la nave è al tempo stesso casa e posto di lavoro.

Esco a esplorare la Delos. Non è un’impresa faticosa. Si tratta di una nave piccola che porta appena 400 passeggeri, ha due zone ponte scoperte (a prua e a poppa, dove si trova una tinozza di piscina) e per il resto si tratta di passeggiate coperte, fatta eccezione per il ponte lance che è il più alto. Ci sono un salone di prua, un ristorante, un negozio, un parrucchiere e una discoteca situata giù in fondo nelle viscere della nave.

Rientro in cabina e mi rendo conto che qualcuno ha rovistato tra le mie cose rubando qualche oggetto, il più prezioso dei quali è un paio di occhiali da sole graduati.

Cerco il capo steward, un certo Panayoti, un greco corpulento sulla quarantina. Gli racconto quanto è successo e gli dico che questo non è accettabile. “Vado a fare un giro in città – aggiungo – e voglio ritrovare tutto al suo posto al mio ritorno.” Panayoti nega di saperne qualcosa, ma gli dico che non m’interessa. Avrò solo venti anni ma non mi piace essere preso in giro e non esito a dirlo.

Quando ritorno a bordo, mi accoglie il Vice Direttore di crociera, un inglese alto, magro e dai folti capelli rossi che si presenta come Peter. Mi informa che, essendo io ora un membro dello staff di bordo, mi spetta una cabina migliore, una situata su uno dei ponti passeggiata e con tanto di oblò apribile che guarda a prua (nella foto). Vicini di cabina sono un paio di ufficiali e i due parrucchieri inglesi, che si riveleranno (a sorpresa) dei seduttori di signore su scala industriale.

I miei compiti saranno stendere al ciclostile le notizie di bordo in italiano, fare da interprete con i miei connazionali, vendere e coordinare le escursioni a terra e rendermi generalmente utile durante la vita di bordo. Finirò anche per fare gli annunci in italiano ai microfoni della nave, gestire l’ultimo turno da DJ in discoteca e partecipare alla recita che l’equipaggio tiene a favore dei passeggeri ad ogni partenza da Ancona.

I compiti mi sembrano alla mia portata e non sono preoccupato. Con in mano la chiave della mia principesca cabina 4 metri x 2 mi avvio a prenderne possesso. Il mio bagaglio è già stato spostato da qualche cameriere e vedo che i miei occhiali da sole sono rientrati al loro posto. Mancano ancora degli articoli sanitari (una scatola di profilattici) ma sospetto che siano già stati utilizzati dal nuovo proprietario e comunque farò ancora in tempo a rifornirmi a terra prima della partenza.

Presto sarà ora di prendere servizio alla Reception. Mi appunto in petto il badge della mia agenzia e scendo tre ponti di scale. La mia avventura estiva 1972 sta per cominciare. (segue)