Sono le 3 del mattino ad Amburgo e il bar nei pressi della Herbertstrasse sta chiudendo.
La cameriera anziana, una bionda finta sulla sessantina e con il collo segnato dalle tracce di un vecchio lifting, sistema la cassa. I suoi movimenti sono lenti e precisi, imparati e perfezionati in tanti anni spesi a fare lo stesso mestiere. La spilla che porta sulla camicetta ne rivela il nome: Selma.
In sala c’è una nuova cameriera che sta sparecchiando l’ultimo tavolo, dove ancora si attardano quattro marittimi polacchi. Come anni ne ha di sicuro ancora più di Selma, ma evidentemente si è fatta la plastica in tempi recenti e anche i capelli scuri sembrano tinti da poco. Non sembra però molto esperta e i polacchi la prendono in giro. Lei non reagisce e continua a lavorare meccanicamente senza alzare lo sguardo.
Oggi è il suo primo giorno di lavoro e Selma si domanda perché mai l’abbiano assunta qui, in un vecchio bar malandato di St. Pauli che prima o poi chiuderà per diventare un McDonald’s.
Passa un quarto d’ora e le due si incontrano nel bagno del personale. La nuova porta sull’uniforme una spilla con il nome Libby e sembra esitare a cambiarsi d‘abito davanti alla collega. E’ immobile e seminascosta dalla porta dell’armadietto che ha appena aperto.
Selma ride sommessamente. “Non ti preoccupare – le dice – qui nessuno vuole sapere la tua storia.”
“Prendi me – prosegue – sono qui da oltre venti anni. Sono un uomo, mi sono fatto operare e sono scappato dall’Inghilterra dopo che l’ayatollah Khomeini aveva lanciato una condanna a morte su di me per un libro che scrissi nel 1988. Dicevano che fosse un libro blasfemo e denigratore dell’Islam.”
“La sua fatwa è stata prima sospesa e poi, qualche anno fa, il regime iraniano l’ha di nuovo convalidata.
Non volevo correre rischi e così ho continuato a vivere qui e a scrivere di nascosto. Questo è il luogo ideale per sparire. Per confondere le acque, c’è anche un imitatore inglese che si finge me partecipando a vari eventi in giro per il mondo ma, una volta tolto il trucco, non lo riconosci più. Intendiamoci, questa non è una gran vita ma mi sento abbastanza al sicuro. Al punto che ti ho perfino raccontato la mia storia; da te credo di non avere niente da temere.”
“Già, a proposito – aggiunge – il mio vero nome è Salman. E tu Libby chi sei veramente?”
L’altra donna, che era rimasta silenziosa ad ascoltare, scuote il capo lentamente e, in un tedesco stentato, risponde: “Anche io ho una lunga storia da raccontare. Il mio vero nome è Muammar”.