Un corso sulla comunicazione multiculturale incentrato sull’India e da poco concluso mi ha visto discutere con degli specialisti informatici italiani dei problemi legati alla collaborazione con un partner indiano in progetti di sviluppo software.

Che l’India sia un mercato dall’enorme potenziale e una grande opportunità per le imprese occidentali in cerca di partner non è una novità. Già da molti anni numerose aziende occidentali hanno iniziato a trasferire in India parte delle loro attività di “back office”; le compagnie aeree furono tra le prime a muoversi, delegando a partner o consociate indiane la contabilità dei tagliandi dei biglietti.

Da allora il settore del BPO (Business Process Outsourcing) si è sviluppato fino a diventare un’industria da ben oltre 10 miliardi di dollari USA l’anno e la sua crescita continua.  Le notizie di stampa e le statistiche vanno però lette con un minimo di cautela.

Ci sono pertanto alcuni punti che vanno interpretati in maniera realistica.

  • L’India ha 40 milioni di laureati, più dell’intera popolazione della Polonia.

In realtà, questo corrisponde a una percentuale del 3,3% della popolazione e non basta a soddisfare le richieste delle aziende. I neolaureati sono 3 milioni l’anno, ancora una goccia nel mare (lo 0,25% della popolazione).

  • L’India ha università prestigiose e istituti tecnici di livello mondiale.

Ma la maggioranza degli studenti indiani (ci sono 250 milioni di giovani tra i 15 e i 25 anni) non ha accesso a questi istituti di altissimo livello. La sfida del governo indiano è portare un’istruzione qualificata a tutte queste giovani risorse, ma ci vorranno degli anni per vedere i primi risultati.

  • Nel 2025 un lavoratore su quattro al mondo sarà indiano.

Il problema è il disallineamento tra istruzione, domanda e offerta. Il potenziale umano esiste dove mancano le scuole, i lavoratori qualificati ci sono dove mancano le industrie, le competenze della forza lavoro non corrispondono alle esigenze delle aziende locali. Tutto questo è anche legato alla carenza di infrastrutture in India e alla scarsa mobilità della forza lavoro sul territorio.

  • In India 300 milioni di persone parlano inglese.

Si tratta comunque di meno di un quarto della popolazione e resta da dimostrare come e dove il livello della lingua corrisponda alle esigenze delle aziende internazionali.

Insomma, la storia di successo del BPO in India non è priva di aspetti critici e di grosse difficoltà in alcune aree. Se è vero che i settori trainanti dell’IT e della computer animation attraggono le migliori risorse, avviene anche che le restanti attività debbano accontentarsi di risorse umane dalla preparazione scolastica e professionale meno che ottimali.

Quello del BPO rimane tuttavia un movimento epocale, come le storiche migrazioni nel passato dell’India. Solo che questa volta è il lavoro a emigrare in India e non più i suoi abitanti a lasciare il Paese.