Arrivo a KNIB (che si pronuncia Kiev), prendo un taxi per l’Hotel PYCb (che si pronuncia Rus) e già sento che avrò qualche problema. Se in Cina la battaglia è persa in partenza, in Ucraina potrei ancora farcela a leggere le insegne e i nomi delle strade. Il fatto è che sono troppo lento e i cartelli mi sfilano sotto il naso prima che abbia faticosamente finito di leggerli bisbigliando le scritte lettera per lettera. Il tassista deve avermi preso per uno squilibrato che parla da solo.
Arrivo in albergo, un monolito nel centro cittadino che evoca interminabili riunioni di partito con nuvole di fumo di sigaretta e vodka come se fosse Perrier. La camera è piccola ma più che decente; l’ora tarda mi consiglia di cenare in albergo e rimandare a domani l’esplorazione della città.
Il ristorante sembra quello di un traghetto, va avanti a perdita d’occhio in un caleidoscopio di tavoli dai colori sgargianti, fiori di plastica e una moquette così rossa che ti fa male agli occhi. In Russo, bello e rosso si dicono allo stesso modo. In Ucraino evidentemente no. Gli altoparlanti della sala sparano Dancing Queen degli Abba a mio beneficio esclusivo.
Sebbene sia l’unico ospite del ristorante, lo staff sembra comunque impegnato a fare altro. Passano alcuni minuti, siamo già arrivati al brano Money, Money Money e finalmente dalle viscere di questa sala gigantesca spunta un cameriere. Ho già scelto dalla carta quello che vorrei ordinare: dopotutto siamo a Kiev, vada quindi per il celeberrimo “Chicken Kiev”.
Boris, il cameriere (il suo badge dice ?op?c e ho fatto in tempo a leggerlo), scuote la testa come si fa con un bambino che non riesce a fare 2 x 2. Mi dice in Inglese che per il Chicken Kiev c’è un’attesa di 40 minuti e mi consiglia di scegliere qualcos’altro dal menu.
Va bene, ordino uno spiedino di carne e una birra Obolon.
La birra è sul mio tavolo dopo 5 minuti. Lo spiedino invece ci mette 40 minuti ad arrivare, che tradotto in birre fa 3 Obolon e un altro passaggio del CD degli Abba. Ho capito: ci vogliono 40 minuti per qualunque piatto, ma il Chicken Kiev questa sera non era disponibile. Boris consegna il piatto con una piroetta e si dilegua.
Venti minuti dopo, in questo mare di rosso appare una cameriera in bianco e nero. Provo a ordinare un dessert. Mi dice con tono ufficiale che devo rivolgermi al mio cameriere. Già, a trovarlo…
Prima di essere anche lei fagocitata da questa sala carnivora, mi assicura che provvederà a informare Boris della mia richiesta.
Passano 15 minuti e lo vedo apparire in fondo alla sala mentre punta deciso verso di me. “Lei voleva il conto, vero?” mi dice.
Mi arrendo e gli rispondo di si. Gli Abba stanno cantando S.O.S. e anch’io sono allo stremo delle forze.
Ho deciso, domani sera esco da questa macchina del tempo bloccata al 1979 e mi trovo un ristorante contemporaneo.