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Nazanin è una giovane iraniana sui 30 anni con la sua piccola ditta di import-export a Teheran. La incontro al mio arrivo all’aeroporto mentre mi aspetta all’esterno; ha mandato a prendermi un uomo di mezza età che ho seguito fuori del terminal. Forse è suo padre.

Sono già passate le 2:00 del mattino e l’aria è tiepida. Le luci al sodio del piazzale tingono di giallo i volti della gente ma, a causa dell’hijab che Nazanin porta in capo, le vedo a malapena il viso.

Mi saluta in ottimo inglese e mi dà il benvenuto a Teheran. Mentre saliamo in macchina, proseguono i convenevoli sul mio volo e sui nostri incontri di domani, mentre l’uomo che l’accompagna guida in silenzio. Scendo al mio albergo, che si chiama Simorgh e si trova sulla Valiasr non lontano dalla Vanaq Square, e mi butto sul letto sperando di dormire almeno cinque ore prima della giornata intensa che mi attende domani.

L’alba annuncia una giornata di sole a Teheran. Mentre rimbalziamo da un incontro di lavoro all’altro, Nazanin mi racconta di sé. Alla luce del giorno è una bella ragazza vivace dai grandi occhi castani. I capelli, neri e lunghi, li vedrò soltanto entrando nel suo ufficio a metà giornata, quando finalmente si potrà togliere l’hijab.

Sposata e già divorziata, lei costituisce un caso raro in Iran, dato che è stata proprio lei a chiedere il divorzio. Si diverte molto a fare questo lavoro, ama la musica e ha la passione dell’astronomia.tehran-1

Girando per Teheran, la sua piccola Toyota è un barattolo a galla in un torrente: il traffico è caotico e rumoroso e tutti vanno troppo forte. Fermi a un semaforo, ci rendiamo conto di aver sbagliato strada. Nazanin vuole chiedere indicazioni al guidatore della macchina a fianco, ma prima di tirare giù il vetro si aggiusta il foulard in testa e spinge dentro due ciocche di capelli che ne fuoriuscivano e mi dice: “Meglio non dare alla gente un pretesto per trattarmi male. Già il fatto che guido io la macchina mentre ho un uomo al fianco…” e non finisce la frase, ma il significato è già chiaro.

Dopo un altro giro interminabile, mentre da cartelloni giganti il presidente Ahmadinejad e l’Ayatollah Khamenei (il vero potere in Iran) ci guardano benevoli, arriviamo finalmente a destinazione.

Dopo l’ultimo appuntamento, ci troviamo nella zona di Sa’dabad, dove sorge l’ex-palazzo dello Scià ora trasformato in museo. Facciamo due passi a piedi per visitare un piccolo bazaar alla ricerca di qualche oggetto interessante. Mentre ci accingiamo ad entrare, escono correndo due ragazze dall’aria terrorizzata. Apprendiamo poi che proprio ieri, in questo stesso bazaar, una donna che non indossava sopra i jeans uno spolverino abbastanza lungo è stata randellata dalla polizia e portata via di forza.

Pochi minuti dopo, incontriamo la ronda. Sono tre trogloditi in uniforme verde che portano alla cintura dei manganelli dall’aria vissuta. I guardiani della rivoluzione scrutano con attenzione Nazanin che mi cammina a fianco ma non dicono nulla. Tutto in ordine, evidentemente.

Mi viene in mente quella che doveva essere Berlino negli anni 30. Città moderna e sofisticata, con ristoranti, caffè e locali. La gente esce la sera, va a sentire la musica, si diverte. Una grande metropoli da vivere, l’importante è non essere ebreo.

A Teheran, invece, l’importante è non essere donna.