I due manager indiani mi passano a prendere in albergo con una Tata Indica e mi invitano a sedermi dietro per stare più comodo. Siamo tutti e tre sull’1,80 e di costituzione sana e robusta. La vetturetta è ora al completo e viaggia in assetto ribassato con le sospensioni in sciopero bianco.
Da Mumbai siamo diretti a Pune o, come avrebbero detto gli Inglesi, da Bombay a Poona. In realtà, la nostra meta precisa si chiama Ranjangaon, sempre all’interno dello stato del Maharastra di cui Mumbai è capitale. La distanza è meno di 200 km ma ci vorranno 4 ore.
Andiamo a visitare la nuova fabbrica in costruzione alla quale la mia azienda è cordialmente invitata a unirsi, creando una joint venture italo-indiana per la produzione di resine. La mia è una missione esplorativa in vista di questa possibile cooperazione. I futuri partner indiani hanno ceduto il vecchio stabilimento nel sobborgo Kandivali di Mumbai e ne stanno realizzando uno in questa nuova zona industriale dove il governo offre forti incentivi all’insediamento di fabbriche.
Mentre percorriamo una Expressway sul lato Est di Mumbai, mi viene indicata una zona della città fatta di povere case fatiscenti addossate l’una all’altra. Il mio interlocutore, Anil J., mi racconta che un anno fa c’è stata qui una disastrosa inondazione che ha sommerso diversi quartieri.
“Ci sono state molte vittime?” gli chiedo. “No, solo 150 per fortuna” è la sua risposta.
Tutto è relativo: in una città di 15 milioni di abitanti, 150 morti non spaventano nessuno.
Arriviamo finalmente a destinazione e mi estraggo faticosamente dalla Indica con la schiena a pezzi. I lavori dello stabilimento sono abbastanza avanzati, il cemento è stato gettato e una processione di donne vestite in sari multicolori porta sul capo i blocchetti di calcestruzzo che ne costituiranno le pareti. Altre trasportano recipienti carichi di graniglie che un vecchio camion ha appena scaricato. Anche loro tengono il carico in equilibrio sul capo con delle movenze antiche e un incedere elegante che dona alla loro fatica una dignità sacerdotale.
Operai e operaie vivono in alcune baracche di stuoia e lamiera ondulata a fianco del cantiere e vi resteranno stabilmente fino a lavori ultimati.
Anil mi mostra l’ala della fabbrica che potrebbe espandersi per accogliere la produzione congiunta di cui stiamo parlando. Gli aspetti vincenti di questa collaborazione mi sembrano evidenti e la mia relazione sul viaggio sarà decisamente positiva. Anil aggiunge anche: “Quando il tuo Amministratore Delegato verrà in India a vedere la fabbrica, il nostro Chief Executive lo porterà qui con il suo elicottero.”
Mentre mi inerpico sul sedile smollato della Indica, penso al viaggio di ritorno che ci aspetta e l’idea di atterrare davanti al mio hotel dopo solo mezz’ora di volo è una fantasia inebriante.
NB: La collaborazione con gli amici Indiani non è mai partita. L’Amministratore Delegato italiano non era per niente entusiasta di recarsi in India. “Chissà come sono gli alberghi. Ce li avranno i 5 Stelle?” mi ha chiesto. Nemmeno le foto dell’Hyatt Regency di Mumbai l’hanno convinto a fare il viaggio.Se fossi stato io il titolare dell’azienda, avrei dormito anche in tenda pur di assicurare il futuro dell’attività di famiglia, ma evidentemente l’AD era preoccupato di non trovare rubinetteria d’oro nella sua stanza d’hotel. Nei suoi viaggi a Hong Kong, per esempio, se non trovava posto al leggendario Mandarin Oriental modificava le sue date pur di alloggiare lì. E non è che a Hong Kong manchino altri alberghi di superlusso…