Non parlo Arabo, a parte due o tre formule di saluto, e al massimo so riconoscere in una conversazione quello che ho sentito definire “l’IBM egiziana”, cioè Insh’allah, Bokra, Maalesh. In altre parole, Se Dio vuole, Domani, Poco male. (Da non prendere letteralmente. La frase può voler dire: io non ci posso fare niente, magari si sistema da sé domani, pazienza.)
Armato di questo minuscolo bagaglio a mano linguistico e non sapendo leggere la scrittura araba, l’idea di poter girare per il Cairo e dintorni in maniera autonoma per un’intera settimana di lavoro non mi era nemmeno passata per la testa.
“Prendo il taxi” mi ero detto. E infatti, uscito dall’albergo sulle sponde del Nilo (quello che una volta era il glorioso Hotel Semìramis), mi trovo davanti una fila di taxi scassati e un gruppetto di tassisti in agguato.
Chiarite le mie intenzioni (ho sei appuntamenti nel corso della giornata), si offre volontario un certo Mohammed e mi fa strada verso la sua vettura, una Fiat 1100 degli Anni 50 tenuta insieme dalla vernice bianca e nera. Il personaggio ha circa 35 anni, due baffoni da carabiniere del secolo scorso e una faccia da simpatica canaglia. Partiamo.
Mohammed conosce sì e no cento parole di Inglese e gli indirizzi preferisce vederli scritti piuttosto che sentirli pronunciare da me. Non posso dargli torto. Ma il nostro lavoro di squadra procede perfettamente. Io scendo dal taxi per andare al mio appuntamento e Mohammed mi aspetta dormendo nell’auto parcheggiata all’ombra.
Torniamo alla base che è ormai buio. Mohammed mi dà mezz’ora per cambiarmi e poi mi porta a un ristorante-showboat che offre giri turistici lungo il Nilo con musica e spettacolo. Ho voglia di fare il turista e sono accontentato: mi ritrovo tra Inglesi che ballano con i dervisci e Giapponesi che fotografano tutto.
Due ore dopo, mentre ormai medito il suicidio, il battello accosta al suo ormeggio: nella luce dei lampioni scorgo una testa appoggiata al volante della Fiat 1100 parcheggiata a bordo strada.
Mentre mi congedo da Mohammed davanti all’albergo, lui mi chiede: “Dumorroh, visit gombany again?”
Perché no? Ormai siamo un team. Gli rispondo: “OK, Mohammed. See you tomorrow, right here, eight o’clock”, mentre indico per terra e gli mostro otto dita a titolo illustrativo.
E così andiamo avanti per il resto del mio soggiorno al Cairo. Ci spingiamo fino a 10th of Ramadan City (un insediamento industriale a Nord-Est del Cairo sulla strada per Ismailia) e a 6th of October City, che si trova invece a Sud-Ovest della metropoli (*).
Ormai la collaborazione con Mohammed è consolidata. Lui pilota l’anziana Fiat a colpi di clacson nel traffico cittadino o lungo le statali, io siedo sul sedile posteriore e consulto le mie carte prima di ogni appuntamento.
L’ultimo giorno, Mohammed mi accompagna all’aeroporto e mi chiede se ho intenzione di ritornare in Egitto nel prossimo futuro. In effetti, ho in programma una seconda visita tra qualche settimana e glielo dico.
Mohammed si illumina; sono stato un buon cliente. “Very good, very good. See you in Cairo more later, insh’allah . You telephone me when you know day.” e mi porge un biglietto da visita.
Le mie scorribande egiziane nel taxi di Mohammed sono appena iniziate e ve le racconterò più avanti.
(*) Il significato di queste date la dice lunga: il 6 Ottobre 1973, che corrisponde al decimo giorno del Ramadan, segna l’inizio della Guerra del Kippur, con l’attacco a sorpresa della coalizione Egitto-Siria per la riconquista dei territori occupati da Israele nella Guerra dei Sei Giorni di sei anni prima. Anche se, dopo le iniziali vittorie arabe, la reazione israeliana riuscì a respingere sia i Siriani che gli Egiziani, la guerra del 1973 è considerata in Egitto una pagina gloriosa.