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Manco da Hong Kong da due anni.

Dopo aver visitato questo posto incredibile almeno due volte l’anno per sei anni di fila, un’assenza come questa è pesante. Hong Kong ti provoca assuefazione e ne senti la mancanza a livello fisico.

Chi la conosce forse sa di che cosa sto parlando. A chi non c’è mai stato dico solo che non si tratta di iperbole, ma  di una necessità reale.

Di Hong Kong conosco bene i migliori alberghi ma anche le anguste fabbriche “verticali” che ancora non sono state trasferite oltre il confine in Cina. Queste ultime alloggiano in fatiscenti strutture multipiano di età indecifrabile e utilizzano vecchi macchinari in ambienti malmessi e sicuramente fuori norma. Ho visto di peggio solo in India. Ma a Hong Kong non esistono locali vuoti: dovunque c’è spazio ci trovi qualcuno che lavora.

Gli alberghi, invece, ti aspettano con la promessa di pace, tranquillità e una birra gelata al termine di una giornata intensa consumata rincorrendo appuntamenti a destra e a manca a Kowloon o sull’isola di Hong Kong vera e propria, oppure nell’adiacente provincia cinese del Guangdong, le cui distanze spesso ti ingannano. Quello che sulla carta sembra un tragitto di due ore, spesso si rivela un’intera giornata di macchina.

Hong Kong, con le sue luci e l’incredibile skyline in costante mutamento, è il premio per chi rientra da una lunga giornata di lavoro. Spesso quello che ti scarica le pile è il continuo passaggio dall’opprimente caldo umido all’aria condizionata più brutale. Si arriva all’appuntamento di lavoro bagnati di sudore nei nostri vestiti occidentali inadatti a quel clima, si passa qualche minuto in sala d’attesa con il condizionatore che va a mille mentre si cerca di riprendere un aspetto presentabile.
La riunione è di solito piuttosto rapida, dopo trenta minuti si è di nuovo in strada e l’impatto del calore in agguato è solido come un muro.

Ancora cinque minuti di cammino e, in un vagone dell’impeccabile metropolitana di Hong Kong, il getto dell’aria condizionata non perdona. Poi, arrivati a Tsim Sha Tsui o a Wan Chai, dove sorgono gran parte degli alberghi più blasonati, ti resta l’ultimo tratto a piedi prima di essere ingoiato da corridoi freschi e silenziosi dove i tuoi piedi stanchi strisciano felpati verso la camera.

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Una doccia e sei di nuovo in strada, questa volta vestito in maniera più pratica, alla ricerca di qualche acquisto, di uno scorcio inedito da fotografare e certamente di un ristorante dove concludere la serata. Hong Kong, con il traffico, il rumore, i violenti contrasti e i mille odori (non tutti gradevoli) non ti delude mai e ti attira implacabile come un campo gravitazionale.

E ogni tanto, a intervalli regolari come la malaria, ti prende la scimmia di ritornarci.