E così Obama avrà il suo “legacy deal”, l’accordo per il quale verrà ricordata una presidenza fatta di promesse mancate, di scarsa visione strategica e di crescenti tentazioni autocratiche. L’uso di “executive orders” presidenziali—che di fatto scavalcano il potere legislativo del Congresso—non stupisce per il numero in assoluto ma per la dubbia costituzionalità di molti di questi provvedimenti.
Ma l’accordo sul nucleare con l’Iran è ancora da siglare. Mancano due mesi alla data limite, due mesi in cui sia l’una che l’altra parte potranno decidere di non accettarlo e di richiederne modifiche.

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Se il trattato verrà firmato in una forma vicina a quella rivelata dopo i recenti incontri in Svizzera, l’Iran avrà di certo molto da celebrare. Teheran è partita da una situazione di svantaggio (pesanti sanzioni e un programma nucleare semiclandestino) e ora potrà contare su un’abolizione delle sanzioni e la possibilità di proseguire il suo programma alla luce del sole—per così dire—visto che molti dei suoi laboratori sono nascosti in profondi bunker. Chissà perché un programma nucleare che l’Iran ha sempre difeso come pacifico necessita di essere celato nelle viscere della terra?

Nella retorica autocelebrativa di Obama nel dare l’annuncio dell’accordo di massima non c’era spazio per menzionare il programma missilistico intercontinentale sul quale l’Iran sta lavorando, ma in realtà l’accordo nemmeno lo copre. Ma a che cosa servono dei missili a lunga gittata se non a portare testate nucleari?

Queste domande se le sono poste altre nazioni per le quali il “legacy deal” del presidente USA comporta rischi immensi. Ecco che i Sauditi stanno cercando di dotarsi a loro volta di armi nucleari, mentre Israele è in stato di allarme. Riyadh avrebbe perfino dato a Tel Aviv un velato assenso al sorvolo dei suoi aerei da bombardamento nel caso di un attacco preventivo alle infrastrutture nucleari iraniane. Riecheggiano nell’aria le parole degli oppositori al negoziato con l’Iran: nessun accordo è meglio di un cattivo accordo.

Se Fox News si è schierata da tempo contro il negoziato con l’Iran, la stessa CNN sembra non aver bevuto la retorica autocompiaciuta di Obama e declina in maniera estremamente chiara i rischi che quest’ultimo sta correndo nel voler legare indissolubilmente il suo nome all’accordo.

Un’amministrazione che sbandierava il successo della sua politica estera portando ad esempio lo Yemen, lo ha visto, a distanza di poche settimane dalle sue dichiarazioni trionfali, precipitare nella guerra civile ed è corsa a evacuare tutti i suoi civili e il personale militare dal Paese. Credere nel team Obama in un negoziato delicatissimo come quello con Teheran richiede una bella dose di fiducia, che molti ritengono il team non meriti affatto. Ricordiamoci della brutta storia di Bengasi, che l’amministrazione ha imboscato e sulla quale sta indagando una commissione parlamentare.

Il curriculum della politica estera di Obama, prima con la Clinton e ora con Kerry in veste di segretario di stato, è inguardabile. Si parte dalla grande occasione mancata nel Giugno 2009, quando Obama fece finta di non vedere il movimento riformista in Iran e lasciò che il regime lo soffocasse nel sangue. La lista di suoi errori madornali prosegue con l’abbandono affrettato dell’Iraq (di fatto consegnato all’ISIS su un piatto d’argento) e vedrà probabilmente la sua apoteosi in questo accanimento negoziale con l’Iran. Si tratta di un regime che non ha mai rispettato gli accordi e ha sempre perseguito una politica urlata: morte a Israele e agli USA.

Ma Obama non vede altro che il suo “legacy deal”. Si sarebbe tentati di dire: “e che ne subisca le conseguenze”, ma l’effetto domino di un Iran armato di testate nucleari non risparmierebbe nessuno, nemmeno quelli che oggi esultano per l’accordo di massima raggiunto in Svizzera. L’Alto Rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea, Federica Mogherini, annunciando al mondo l’intesa raggiunta nella maratona negoziale di Losanna, lo ha definito “un passo storico verso un mondo migliore”.

Il 30 Settembre 1938, al suo rientro da Monaco, il primo ministro britannico Neville Chamberlain annunciò l’accordo con Hitler dicendo “dalla Germania porto pace per i nostri tempi”. Meno di un anno dopo, i nazisti invadevano la Polonia.

Gli uomini al potere in Iran sono i nazisti dei nostri tempi. Israele lo sa e perfino l’Arabia Saudita ne è convinta.

Ma non roviniamo la festa al team Obama, alla Mogherini e a tutti quelli che la pensano come loro. La partita è ancora aperta.

E chissà che nel frattempo il comitato di Oslo non consegni a Obama un secondo Premio Nobel per la pace, prematuro e immeritato come quel ridicolo gesto del 2009.