La Dottoressa R.Z. dell’assessorato al Turismo della Regione Sicilia si aggiusta sui fianchi la giacchetta D&G che indossa sopra un paio di pantaloni di nappa color prugna. Ai piedi ha un paio di scarpe da basket che dalla forma sembrerebbero delle Converse ma sono tutte ricoperte di strass luccicanti. Il completo deve averle azzerato un paio di stipendi in zona Via Ruggero Settimo a Palermo. E’ una donna sulla quarantina dal colorito mediterraneo ma dai capelli biondissimi che l’origine normanna senza l’aiuto del perossido di idrogeno non è in grado di regalare.
Siamo a Bruxelles, alla Fiera del Turismo BTF, dove la Regione Sicilia ha un grosso stand e sta per dare il via ad una conferenza stampa sul turismo nell’isola nell’anno che viene. In una fiera dove metà dei delegati vestono in grigio e l’altra metà indossa coloratissimi sari, parei e sarong, la Dottoressa è un pugno nell’occhio ma non lo sa.
Ci troviamo al centro della città, in una saletta del Jolly Hotel, scelto appositamente per l’ambiente e la cucina italiani. Alla presentazione seguirà infatti una cena tipica rallegrata da una selezione di vini siciliani. E questo spiega anche la presenza del sottoscritto con un gruppetto di colleghi del Bel Paese residenti all’estero.
Al tavolo dei relatori siedono anche due signori di mezza età con l’ abito grigio sopra il golfino senza maniche (a Bruxelles d’inverno fa un bel freddo umido che senti nelle ossa) che bisbigliano fra loro guardando fisso avanti, come al funerale di un lontano parente. Il loro ruolo non è chiaro, né verrà spiegato. Sono probabilmente due vecchi centurioni, uomini di fiducia inviati dall’Assessore a spalleggiare la Dottoressa in questa difficile missione.
Ma eccola che esordisce: “Signore e signori, è un piacere per me trovarmi qui nella splendida città di Brùcsel”.
La strana pronuncia crea un rantolo nella sala: vuole per caso essere un compromesso tra Bruxelles, come la chiamano i Valloni, e Brussel, come invece preferiscono dire i Fiamminghi? Meglio non indagare.
Ma il problema principale è che la Dottoressa sta parlando Italiano a un pubblico al 90% belga. A parte me e un paio di colleghi italiani a fondo sala, il resto della platea è rappresentato da giornalisti e operatori del settore locali.
“Excusez- moi, Madame” interrompe un signore in seconda fila. “Pouvez-vous parler français ou anglais?”.
La Dottoressa si stringe nelle spalle perché non ha capito la domanda. Una sua risposta a questo punto appare perfino superflua. Le due cariatidi in grigio scuotono la testa e bisbigliano tra loro: “Sti minchia di Belgi non parlano nemmeno l’Italiano..”
Si offre volontario un valente giornalista belga che inizia una generosa quanto stentata traduzione simultanea.
Nessuno di noi Italiani si è fatto avanti. Sono solo rogne. Se la Regione non ha pensato alla necessità di un interprete, non conti su di noi contribuenti per tirarla d’impiccio.
Entra trafelata e impellicciatissima la moglie dell’Ambasciatore d’Italia in Belgio. Si siede in prima fila e, mentre la conferenza stampa agonizza e poi muore di morte naturale, inizia una conversazione a due con la Dottoressa ignorando il resto della sala. La promozione dell’offerta turistica della Sicilia si è compiuta.
Con gli amici italiani ci alziamo e usciamo. In attesa del Regaleali o del Colomba Platino che serviranno a tavola, ci facciamo subito una birra Duvel al bar dell’albergo per annaffiare il nostro profondo imbarazzo.
A poche centinaia di metri da noi, il Manneken Pis, curioso simbolo di Bruxelles, prosegue la sua secolare opera di irrigazione. Il paragone con la Regione Sicilia, che invece lo fa con i soldi, mi intristisce profondamente ma non mi sorprende.