(Segue da “Si mollano gli ormeggi”, Aprile 2012)
Nei primi giorni di crociera faccio amicizia con Peter, il Vice Direttore di crociera, un eccentrico inglese dall’accento posh e dai modi vagamente effeminati. E’ molto gentile e ha uno spiccato senso dell’umorismo. Come tutti i britannici di bordo mi fa notare che il mio inglese ha un forte accento americano (grazie, lo sapevo già, e allora? – è la mia risposta standard) e mi prega di adottare una dizione più inglese quando faccio annunci plurilingue al microfono. “Sure thing. No big deal” gli rispondo esagerando il twang nordamericano. Peter ruota gli occhi al cielo e scuote la testa.
Faccio anche amicizia con un gruppo di camerieri greci di mezza età. Sono tutti ben istruiti e hanno un passato di tipografi in giornali che il regime militare ha costretto a chiudere. Racconto loro di aver lavorato anche io in un giornale come redattore e correttore di bozze e sono subito adottato. Vogliono insegnarmi il greco moderno e sono molto contenti di scoprire che, grazie a 5 anni di greco al liceo, ne conosco già l’alfabeto.
Io mi accorgo nel frattempo che la pronuncia del greco moderno è ben diversa. Einai (essere) si pronuncia ìne, e non éinai come dicevamo noi a scuola. E il tempo futuro non è più quello che ci insegnavano, ma mi va bene: il futuro della lingua moderna, detta Dimotikì, è molto più facile che in quella classica.
Presto divento Stephanos ò Italòs e mi diverto a conversare con i miei nuovi amici, che sopportano i miei frequenti sfondoni e pazientemente li correggono. Dopo qualche settimana sarò in grado di parlicchiare greco lasciando da parte l’inglese. Questo mi renderà gradito alla componente greca della Delos, che dopo aver proclamato il tradizionale slogan di fratellanza “Una faccia, una razza”, passerà a lamentarsi con me dei soprusi e delle scorrettezze degli Anglì, gli inglesi. Scopro ben presto che sia lo staff che i passeggeri britannici non sono per niente amati dai greci della Delos.
I miei rapporti con gli inglesi di bordo sono cordiali ma non calorosi. Le hostess stanno sempre sulla difensiva, circondate come sono da più di cento giovanotti greci, e non abbassano mai la guardia. Gli uomini fanno combriccola parlando di cose che a me interessano poco (calcio, cricket e le loro questioni di lavoro) con accenti regionali inglesi che capisco a malapena.
L’unico inglese simpatico e comunicativo è Peter. Sarà un piccolo shock scoprire che Peter è gay e che ha una storia con Gerasimos (detto Jerry), un cameriere che considero amico. Jerry ammette senza problemi di farsela con Peter, ma sostiene che il pùsti (finocchio) è l’inglese, non lui. A supporto della sua tesi mi spiega con gesti piuttosto grafici la loro relazione e che lui si considera totalmente eterosessuale, prova ne siano le passeggere di mezza età che con molta circospezione si porta in cabina. Ovviamente fraternizzare con i passeggeri è tabù per l’equipaggio, ma la pratica è piuttosto frequente e gli stessi ufficiali ne forniscono un fulgido esempio.
Il Direttore di crociera è uno scozzese taglia XL di nome Duncan che fa anche l’entertainer durante lo spettacolo serale. Ha una storia con una hostess di nome Cara, che è chiaramente mal vista dalle altre per via del filo diretto che la lega al capo. C’è anche un’orchestrina di attempati musicisti guidata da un certo Sammy, un simpatico ed eccentrico personaggio, e non manca il medico di bordo, un giovanotto australiano che si è imbarcato dichiaratamente per “the cheap booze and the Sheilas” (gli alcolici a basso prezzo e le donne).
Il comandante greco, Patroklos, è un quarantenne dai lineamenti mediterranei e dalla pronunciata calvizie.
Il folto toupet che porta è un segreto che tutti a bordo conoscono, ma lui se ne frega. I capelli posticci lui li indossa per vederseli in testa e non gli interessa degli altri. E’ gentile e ospitale, gli piace recitare la parte del comandante a tutto tondo: generoso, maschio alfa, donnaiolo e gran marinaio.
Gli sono simpatico e qualche volta ò Kapetanios mi invita a cenare al suo tavolo. Ela ‘dò, Stephane (vieni qui) e mi fa cenno di accomodarmi al tavolo degli ufficiali, dove siede anche il primo ufficiale, Nikos, un bel ragazzo che fa girare la testa alle passeggere italiane. E agli occhi di queste, seppure di luce riflessa, brillo anche io.
Una sera, dopo aver lasciato il porto di Istanbul in direzione Sud-Ovest lungo lo stretto dei Dardanelli, il comandante mi lascia prendere il timone della nave, ma sempre sotto l’occhio vigile del timoniere che mi ha appena ceduto il posto. La sensazione è strana: l’inerzia della nave nel reagire ai cambiamenti di rotta mi porta a sovracompensare di continuo; in plancia però nessuno mi dice niente e continuo a lasciarmi alle spalle una scia zigzagante. Mentre ci avviciniamo alla città turca di Çanakkale (dove la larghezza dello stretto si riduce a poco più di un chilometro) il traffico marittimo sembra intensificarsi e il timoniere riprende saggiamente la condotta della nave. 400 passeggeri ignari continuano a scolarsi le loro birre mentre la nave si avvicina lentamente al Mare Egeo, che sta per spalancarsi immenso davanti alla nostra prua. (segue)