Aeroporto di Karachi. Sto partendo per Lahore, capitale del Punjab e seconda città del Pakistan con 7 milioni di abitanti. Fatto il check-in del bagaglio mi resta solo una valigetta 24-ore ma l’inserviente dedicato alla Business Class della Pakistan International insiste per togliermela di mano e accompagnarmi alla saletta dove attenderò l’imbarco del volo. Nel resto del mondo ci sono i cartelli con scritto “Lounge” e basta seguirli per lasciarsi alle spalle il viavai e il frastuono degli aeroporti. Qui a Karachi, invece, un signore dall’aria solenne e dai baffoni che ricordano un sergente maggiore del Raj britannico vuole a tutti i costi farmi da scorta.
Arrivo all’aeroporto Allama Iqbal di Lahore e ad accogliermi all’esterno ci sono un gradevole caldo secco e una piccola jeep Suzuki Santana con un mitragliatore montato sul tetto. Lahore è una città di frontiera e ha una storia abbastanza turbolenta. Ma ormai le armi automatiche sono in bella mostra in tutti gli aeroporti del mondo e nessuno ci fa più caso.
L’indomani si parte in auto per Sargodha lungo l’autostrada che va a Islamabad. L’ultima ora del viaggio la passiamo su una stradina stretta che attraversa campagne e piccoli villaggi. Il giovanotto al volante la percorre al doppio della velocità che terrei su una strada del genere. Vecchie corriere, biciclette, carretti, animali, adulti e bambini attraversano la striscia di asfalto davanti a noi. Un paio di volte l’autista è costretto a buttarsi fuori strada per evitare qualche ostacolo, ma il piede sul gas rimane pigiato.
Mi domando se esista una causa degna per morire a Sargodha, Pakistan. Concludo che la mia missione di affari non giustifica un sacrificio umano, di sicuro non il mio.
Entriamo in città e mi sembra di entrare nel caos coreografato del set di un film. Sargodha ha una doppia vocazione. E’ un importante centro agricolo ma ospita anche numerose piccole aziende manifatturiere. In realtà, la maggior parte dei miei clienti in Pakistan è concentrata qui.
Le strade sono asfaltate ma coperte di di terra, il traffico è fatto di motorette scoppiettanti, biciclette e furgoncini che si litigano la carreggiata con i pedoni. C’è perfino una strada intera dedicata al commercio di biciclette e relativi accessori.
Nella piccola fabbrica di interruttori di un cliente, le presse (rigorosamente manuali) per i componenti in plastica sono al piano rialzato. Al piano terra è legata una capretta e, al suo fianco, ci sono dei bambini seduti per terra che assemblano dei pezzi contenuti in vassoi di vimini. L’aria è densa di odori di frutta marcia, polvere e mosche. E anche la capretta ci mette del suo.
Improvvisamente, la saletta fresca e tranquilla della Pakistan Airlines mi sembra lontana mille anni. Vorrei essere lì, con una birra gelata in mano e vorrei togliermi dalla testa l’immagine di quei bambini silenziosi che lavorano assorti a montare i loro interruttori elettrici.