Qualche giorno fa ho avuto il piacere di rivedere uno dei miei film preferiti degli ultimi 30 anni: Gorky Park, una pellicola del 1983 per la regia di Michael Apted.

Malgrado il film tradisca la sua età in alcune scene, che oggi risulterebbero di certo più adrenaliniche per montaggio, realismo ed effetti speciali, l’esperienza è stata del tutto positiva. Questo è a dir poco sorprendente per un film di oltre una generazione fa.

Aggiungo che, a suo tempo, avevo visto il film in italiano, mentre, in questa rivisitazione a 29 anni di distanza, l’ho visto per la prima volta in inglese. Curioso, quanto convincente, l’accento britannico sfoggiato dal protagonista principale William Hurt, che è notoriamente americano, nella parte del poliziotto russo Arkady Renko. L’accento inglese fu forse scelto per distanziarlo dai due “veri” americani del film, Brian Dennehy e il perfido e gelido Lee Marvin, che non furono costretti a mascherare il loro accento natale, dato che nella vicenda interpretano appunto due cittadini USA.

Brava la (allora) ventiseienne Joanna Pacula, attrice polacca al suo primo ruolo in un film straniero nella parte di Irina, la protagonista femminile del film, che avrà un devastante impatto sul futuro dell’investigatore Hurt/Renko, sia nel libro da cui fu tratto il film che in alcuni dei sei libri successivi. Sembra che la Pacula fosse stata raccomandata per questo ruolo da Roman Polanski.

Gorky Park fu il primo libro scritto dall’americano Martin Cruz Smith (classe ’42) con Renko come protagonista e l’unico dei sette a essere adattato per lo schermo. Ricordo anche che le parti centrale e finale del libro furono sostanzialmente modificate per realizzare la versione cinematografica.

Al regista Apted fu negata la possibilità di girare gli esterni a Mosca e la produzione scelse quindi di ripiegare (senza un solo russo nel cast) sulla Finlandia, con risultati che mi sono comunque sembrati  del tutto convincenti. Strade innevate, automobili  Zhiguli e Volga malconce e sfumazzanti in una cornice tanto fredda, deprimente e invernale come sarebbe stata nella confinante Unione Sovietica. File di caseggiati grigi e anonimi, appartamentini squallidi, povera gente dagli abiti grossolani, pezzi da 90 del partito e della polizia abituati alla corruzione e ai privilegi, un sottobosco di contrabbandieri, informatori e faccendieri in uno spaccato impietoso degli ultimi anni dell’Unione Sovietica prima della sua implosione.

Peccato che i successivi libri di Smith con l’anti-eroe Arkady Renko come protagonista principale sempre più kafkiano e contraddittorio non siano stati portati sullo schermo. William Hurt sarebbe rimasto, a mio avviso, l’attore giusto per dare vita a questo difficile personaggio nelle ulteriori, paradossali vicende alle quali lo ha destinato la penna ironica e tagliente di Martin Cruz Smith.