Scivola via nel silenzio totale il cinquantenario della rivoluzione culturale cinese.
Il cosiddetto “Regno di Mezzo” non ha celebrato i cinquant’anni trascorsi dal culmine della follia maoista e buona parte della stampa occidentale nemmeno ne ha fatto menzione. Un periodo di dieci anni di storia azzerato e passato sotto silenzio. *
Eppure esattamente 50 anni fa, con una direttiva del partito comunista cinese, aveva inizio un processo che si sarebbe concluso dopo un decennio con la morte di Mao e con l’arresto della “Banda dei Quattro”, che comprendeva la stessa Jang Qing, moglie del leader.
Il 16 Maggio 1966 cominciarono la caccia alle streghe ai danni dei portatori di “influenze capitalistiche e borghesi” e l’esplosione del culto della personalità di Mao.
Qualcuno nel mio gruppo d’età ricorderà ancora le Guardie Rosse (e le loro azioni criminali) e il Libretto Rosso, il manuale della rivoluzione culturale. La contestazione giovanile e il celebrato Sessantotto nostrani attinsero a piene mani alla retorica maoista e parte della sinistra italiana, primi fra tutti alcuni intellettuali e divi dello spettacolo, si lasciò trascinare dall’entusiasmo rivoluzionario e dai cosiddetti “Pensieri” di Mao Tsetung.
A parte la distruzione del patrimonio culturale della Cina (che fa pensare ai più recenti misfatti di Talebani e jihadisti dell’ISIS), ci furono milioni di morti. Parte dei morti furono vittime delle scorribande delle Guardie Rosse, centinaia di migliaia morirono durante le deportazioni imposte dal regime e il resto morì di fame a causa del crollo della produzione agricola. (Prima della Rivoluzione Culturale, un’altra delle riforme socio-politiche di Mao—il Grande Balzo in Avanti—aveva causato decine di milioni di morti tra carestie ed esecuzioni capitali.)
Oggi, a mezzo secolo di distanza, non è difficile cogliere la somiglianza tra la rivoluzione culturale di Mao e la follia nazifascista—a partire proprio dal titolo conferito a Mao di Grande Timoniere, che non può non ricordare Der Führer di Hitler o Il Duce di Mussolini.
Qualche mese fa, una gigantesca statua dorata di Mao (36 metri di altezza) fu distrutta poco dopo essere stata innalzata nella provincia scarsamente popolata dell’Henan. Qualcuno in Cina ha evidentemente rivisto in chiave critica il ruolo del Presidente, ma statuette commemorative del leader si trovano in commercio dappertutto e qualche esemplare autentico del libretto rosso si può ancora trovare su eBay a $5.
Pochi anni fa, durante un viaggio di lavoro in Cina, ho comprato un piccolo busto di ceramica raffigurante il Grande Timoniere e lo tengo su uno scaffale della libreria nel mio studio. Non è certo per ammirazione nei suoi confronti, ma perché è forse l’unico grande criminale della storia la cui effigie non è automaticamente motivo di pubblico ludibrio e censura nei confronti del possessore. Chissà perché, visto che—se i criminali si pesano in base ai morti che hanno causato—il Presidente Mao è quasi certamente il primo classificato davanti a Stalin, Hitler, Mussolini, Pol Pot, Assad, Saddam e Gheddafi.
(*) Da segnalare tuttavia un buon articolo del Corriere della Sera e un breve video della BBC