Da qualche settimana ha aperto nel centro di Belgrado un ristorante chiamato Vapiano. Si mangiano solo pizza o pasta e la formula prevede che queste si ordinino al banco e che vengano preparate davanti ai vostri occhi.

Se avete scelto una pasta (la vostra scelta interessa sia la salsa che il tipo di spaghetti, tagliatelle o penne), vi viene chiesto se ci volete aglio, peperoncino o altri ingredienti e il cuoco o la cuoca li aggiungono in una padella tipo wok cinese in cui essi vengono rapidamente cucinati. Poi arriva la pasta, che nel frattempo è stata scolata, e il tutto viene saltato in padella e servito fumante. A quel punto, lo mettete sul vassoio e andate a cercare un posto dove sedervi.

Il ristorante occupa i maestosi locali di un vecchio caffè di stile viennese che era un monumento della Belgrado di un tempo, sopravvissuto fino al 2012 e poi chiuso per fare posto a questo strano fast food all’italiana, che però italiano non è.

La catena Vapiano è tedesca e il concetto è moderatamente rivoluzionario.

Ma ci voleva un non-italiano per creare qualcosa di divertente e iconoclastico che si fondasse sul mangiare italiano! Il rapporto dell’italiota medio con i suoi feticci alimentari è dichiaratamente morboso. La pasta è la mamma, il sugo al pomodoro il papà e sappiamo che in Italia con gli affetti familiari/alimentari non si scherza. Una pasta scotta è stata la circostanza scatenante di innumerevoli divorzi, la carbonara come la faceva mamma non c’è moglie che la sappia fare, la pubblicità televisiva della pasta e dei sughi in Italia rasenta l’erotismo orale.

Nessun imprenditore italiano avrebbe potuto lanciare una catena di fast food dedicati alle icone italiche di pasta e pizza, sarebbe stato linciato in piazza, l’avrebbero condannato a livello bipartisan tutte le forze politiche, i preti e gli anarchici, Beppe Grillo e i sindacati. La gente avrebbe fatto sit-in di protesta: Aridatece la pasta de mamma nostra.

Un Paese incagliato in via permanente nella recessione e con le finestre che affacciano a picco sull’irrilevanza più completa a livello internazionale avrebbe ritrovato il suo orgoglio nel condannare e combattere coralmente  l’eresia alimentare di un italico rinnegato che avesse osato profanare quel poco che c’è rimasto. Toglieteci tutto tranne la sacralità del mangiare nostrano e il latte della Lola!

E quindi l’ha fatto un imprenditore tedesco. Il ristorante è sempre pieno e frequentato da una clientela molto variegata, dagli uomini d’affari ai giovani. Ai soffitti altissimi e ai vecchi lampadari in cristallo di un tempo sono abbinati tavoli in legno massello e sgabelloni in pelle, i muri sono decorati con enormi lavagne sulle quali appaiono divertenti slogan e disegni realizzati con gessetti colorati, qua e là troneggiano delle piante di ulivo bonsai che simboleggiano il cuore della cucina mediterranea.

Nel centro di una lavagna campeggiano un ritratto a gesso di Don Vito Corleone, il celeberrimo Padrino, e la scritta PASTA NOSTRA.

Tra talebani alimentari e uomini d’onore, chi mai avrebbe osato tanto in Italia?