C‘è una cosa che non faccio mai quando sono in viaggio fuori dell’Italia: mangiare in un ristorante italiano.
Viaggiare, almeno per me, è l’occasione di calarsi in una realtà e una cultura differenti. Andare a mangiare italiano è come una resa definitiva, la rinuncia a scoprire che cosa c’è di buono (o meno buono) sulla piazza locale.
Come esempio penso all’Inghilterra, invece di ricorrere alle solite immagini scontate ( e spesso infondate) connesse al cibo orientale.
L’Inghilterra è uno di quei luoghi in cui la tradizione culinaria locale, piatta e sciatta, non mi attira per niente ed è per fortuna poco rappresentata in termini di ristoranti. Avendo anche abitato in quell’isola per degli anni, gli unici ricordi di pasti memorabili sono legati a spettacolari ristoranti etnici: cinesi, tailandesi, vietnamiti e specialmente indiani, che sono a tutti gli effetti il meglio della cucina britannica e furono senza dubbio la mia salvezza. Poche le visite a ristoranti italiani e tutte al seguito di inglesi che credevano di farmi contento.
Anche in Germania, Paese che frequento da quasi 40 anni, le mie visite al ristorante italiano si contano sulle dita di una mano e sono legate alla scelta di altri. Un mio cliente tedesco in Franconia mi ha portato un paio di volte al suo ristorante preferito, un locale chiamato Bella Napoli con le tovaglie a quadretti, il fiasco di vino rosso in mezzo al tavolo e le pareti affrescate in maniera oscena con Vesuvi fumanti e barche di pescatori a riva.
I camerieri dall’aria saccente parlavano un tedesco sgangherato inframmezzato dalla parola signOre, con un’enfasi esagerata sulla O tanto per dare più colore locale all’esperienza culinaria. Il mangiare era mediocre, il conto salato e il servizio fin troppo untuoso. Mai più.
Anche dopo permanenze piuttosto lunghe in Paesi dalla cucina esotica, il pensiero di rifugiarmi in un ristorante italiano (o peggio ancora in uno dal nome italiano inventato per ragioni di marketing) non mi è mai passato per la testa.
Qualche anno fa mi sono ritrovato a trascorrere quasi un mese in Cina. Nonostante la cucina cinese sia una di quelle che preferisco, alla terza settimana cominciavo ad avere voglia di mangiare qualcosa di diverso.
Per fortuna mi trovavo a Hong Kong e una delle maggiori attrattive di quel posto straordinario è la possibilità di scegliere tra tutte le cucine del mondo, dal bistrot francese al ristorante tedesco fino a quello ucraino.
Davanti a tanta scelta, optai per un ristorante americano, il Dan Ryan Chicago Grill a Tsim Sha Tsui. L’atmosfera è quella di un locale americano degli anni 40, le bistecche arrivano in aereo dagli USA e anche le porzioni sono americane.
Potrà anche sembrare un’esperienza artificiale, come cenare al poco distante Hard Rock Café, ma dopo tre settimane di cucina cinese autentica mi era presa voglia di una bistecca come si deve e di un locale meno caotico del tipico ristorante cinese, che almeno in Cina ha spesso le dimensioni di una stazione ferroviaria.
E così, nonostante la presenza a Hong Kong di locali italiani molto quotati (e anche molto cari), l’idea di mangiare gli spaghetti allo scoglio e ascoltare le canzonette napoletane non mi passò nemmeno per la testa.