Lawrence in Arabia

Lawrence in Arabia

TE-Lawrence-2_2836428aIl libro Lawrence in Arabia, scritto dal giornalista americano Scott Anderson e pubblicato nel 2013, comincia già dal titolo a prendere le distanze da biografie più o meno agiografiche di T.E. Lawrence e dal celebre film di David Lean del 1962.

Scritto in maniera elegante e scorrevole, il libro inquadra le vicende della rivolta araba contro l’occupazione ottomana stabilendo brillantemente una rete di connessioni con l’attuale assetto dei Paesi più o meno direttamente coinvolti nel conflitto.

Mentre tesse le storie parallele del protagonista Lawrence, di un funzionario di una grande azienda petrolifera americana, di una spia tedesca e di agenti sionisti (tutti attivi nelle stesse zone negli stessi anni e che a volte perfino si incontrano nella narrativa), Anderson dipinge il grande intreccio di interessi religiosi, nazionali e commerciali che hanno contribuito a creare il Medio Oriente di oggi.

Leggiamo quindi dell’affermarsi della dinastia wahabbita Al Saud in quella che diverrà appunto l’Arabia Saudita (e patria di Osama bin Laden), delle origini della monarchia hascemita in Giordania, delle aspirazioni indipendentiste degli ebrei in Palestina appoggiati dai movimenti sionisti europei. Il tutto ai danni dell’impero ottomano in avanzata fase di implosione.

La prosa agile di Anderson traccia un quadro devastante dell’incompetenza endemica nelle alte sfere militari britanniche, dell’arrivismo di politici inglesi senza scrupoli, delle mire colonialistiche di una Francia piegata dalla guerra sul fronte occidentale ma che non rinuncia a volersi ritagliare una fetta del bottino riservato ai vincitori della Prima Guerra Mondiale.

In questo magistrale affresco, le vicende del giovane e tormentato Lawrence fanno pensare a un turacciolo a galla in un mare agitato. Eppure, per quanto modesto sia stato il suo contributo all’esito della Grande Guerra, la storia di Lawrence merita di essere riletta e, grazie all’eccezionale lavoro di Anderson, fornisce un inconsueto angolo visuale di quel periodo della storia del mondo.

Non esiste ancora una traduzione italiana di Lawrence in Arabia, ma il libro si trova comunque in edizione originale su amazon.it. Assolutamente un libro da non perdere.

 

Seriously ridiculous

Seriously ridiculous

TrainBecause of the changing attitudes and needs of the consumer, the voice of advertising has evolved as rapidly as the goods and services it aimed to sell, but the “voice of government” in this country hasn’t changed in ages. Actually, “officialese” has never evolved from talking down at people.

The communication of officialdom with the ordinary citizen has always been stilted, pedantic and convoluted and—even in the Third Millennium— clearly betrays the belief that authority must speak in a stiff and complicated way to be authoritative.

According to Dutch cultural anthropologist Geert Hofstede, power distance is one of the key dimensions defining a national culture. With their average high index of power distance, Italians accept the fact that power is still distributed unequally and endure an elevated degree of formality in their dealings with the powers that be.

Public announcements in Italy are unduly complicated and assume a pompous tone, instead of making things simple to understand for the less literate. Safety information in public transportation is pathetically ineffective because it adopts insider terminology that the end user can hardly comprehend. Messages are formulated in a clunky and verbose way that fails to explain things and make them understandable.

A classic example is displayed by the quintessential non-customer-centric organization, the state railways (aka Trenitalia).

If you stand in a major station for at least 5 minutes, you will hear this public announcement (in Italian): “Passengers are requested to position themselves on the platform based on the location of the car corresponding to the class of service they have purchased and to let arriving passengers disembark first”.

Such a uselessly convoluted and obscure message is understood by few and simply adds to the constant din of the station. Surely, it could have been made simpler, perhaps by dispensing with its silly formality. But that is a non-starter for the likes of Trenitalia.

Another doozy produced by the very same organization has to do with the computer-generated female voice that makes public announcements in high-speed train stations. This virtual creature with a British accent starts every message with “Trenitalia informs…”. The oddity here is that the name of the rail operator is pronounced “Treni-tay-lya”.

Now, in English the noun Italy is pronounced it-l-ee and the adjective Italian ih-tal-yuhn. The sound “tay” in Trenitalia is an aberration, since it does not originate from either the noun or the adjective. Common sense would dictate that—before you run a public announcement hundreds of time each day—you have it checked by a native speaker or a linguist.

But an in-focused, government-owned organization like Trenitalia doesn’t operate that way. With 35,000 employees and revenues of Euro 3.5 bn it probably thinks it can write its own language rules.

Fatti furbo, Dwayne

Fatti furbo, Dwayne

Eureka1Dwayne è un perdente perché è stupido.

Inutile girare intorno alla questione. Se non fosse un cretino, non si sarebbe fatto 8 anni nel penitenziario federale di Moab per quella rapina al furgone blindato a Ely in Nevada.
Il bello è che la rapina gli era riuscita perfettamente, ma Dwayne aveva deciso all’improvviso di mollare l’auto e proseguire con una moto che aveva appena rubato in strada. Aveva voglia di libertà, di vento nei capelli? Con un cretino è difficile dirlo.

Elmer J. Wade, sceriffo della White Pine County lo aveva trovato due ore più tardi, distrutto dalla fatica, che spingeva una Harley senza benzina e con le borse laterali piene di banconote nuove ancora impacchettate.

Al processo, la testimonianza dello sceriffo lo aveva inchiodato e il pubblico in aula aveva anche riso fragorosamente all’ironico racconto dell’arresto fatto da Wade. Quello scroscio di risate aveva continuato a torturare Dwayne per otto anni. Appena uscito da Moab, il suo primo pensiero era stato di vendicarsi.

E ora Dwayne è barricato in una stazione di servizio chiusa sulla Highway 50, a mezz’ora dal centro di Ely, armato di un fucile da caccia e con la moglie di Elmer J. Wade legata e imbavagliata in un angolo. Appena arrivato a Ely, le è piombato in casa e l’ha trascinata con sé fuori città. Nascosto nella stazione di servizio, ha poi chiamato lo sceriffo Wade dal cellulare della moglie e gli ha detto di presentarsi disarmato, altrimenti avrebbe “ammazzato la vecchia a fucilate” (parole sue).

NV_Ely SheriffNell’aria limpida e secca del Nevada orientale, la Crown Victoria bianca di Wade con le scritte SHERIFF in corsivo blu sulle fiancate solleva una nuvola di polvere fine arrivando nel piazzale a gran velocità ma con lampeggiatori e sirena spenti e si ferma a trenta metri dai muri screpolati della stazione di servizio.

Elmer J. Wade esce lentamente dall’auto, si assesta il cappello in testa, alza il megafono e scandisce con la voce calma e l’accento strascinato che Dwayne odia tanto: “Sei sempre il solito cretino, Dwayne. Mia moglie mi ha lasciato quattro anni fa e si è messa con un deficiente che fa i vasi di creta copiando quelli degli indiani. Mi ha portato via la casa, i figli e le passo duemila dollari al mese per mantenere lei e quello sfigato. Dwayne, fatti furbo ed esci con le mani in alto prima che mi vengano in mente delle strane idee…”

Ignoranza stellare

Ignoranza stellare

Oracolo della sabbia discoMentre aspettavo distratto la metropolitana qualche giorno fa, mi sono reso conto che un notiziario proiettato su una parete della stazione mostrava le previsioni astrali. Incredibile – mi sono detto – nel 2014 c’è ancora chi crede a queste baggianate.

Ho fatto qualche ricerca e sembra in realtà che circa la metà degli italiani consulti regolarmente l’oroscopo.

In altre parole, qualche decina di milioni di persone crede ancora che la posizione degli astri al momento della sua nascita abbia una qualche influenza sulle vicende della sua vita.

Incrociate questo dato – che da solo è piuttosto innocuo – con una recente ricerca OECD e c’è da cominciare a preoccuparsi.

Secondo questa ricerca, circa un quarto della popolazione adulta in Italia è a livelli di alfabetismo così bassi da essere preoccupanti, mentre circa un terzo ha scarsa dimestichezza con i numeri.

Vogliamo scommettere che i più “culturalmente disabili” sono quelli che credono all’oroscopo? E che fra loro quelli più disastrati sono proprio le persone che consultano maghi e chiaroveggenti?

Non ci sono risultanze scientifiche che lo dimostrino, ma si tratta di una mia personale convinzione. Ritengo infatti abbastanza probabile che qualcuno che ancora crede all’oroscopo abbia un livello di competenza medio-basso. (Stendiamo un velo pietoso sull’intelligenza).

Avreste mai detto che l’Italia si trovasse ancora a livelli di ignoranza come quelli evidenziati dall’OECD – e riportati nell’Ottobre 2013 da The Economist? A tenerci compagnia all’ultimo posto tra i paesi avanzati c’è la Spagna, mentre i primi posti per alfabetizzazione e abilità numerica sono detenuti da Finlandia, Giappone e Olanda.

E questo nonostante le iscrizioni all’università in Italia siano passate dal 4% dei giovani nel 1951 a oltre il 40% nel 2008, cioè più che decuplicate in mezzo secolo.

Ma sempre la ricerca OECD indica un altro fatto preoccupante: Italia, Spagna e Stati Uniti vantano un elevato numero di laureati, ma questi ultimi si sono rivelati culturalmente indietro rispetto ai giovani di Giappone e Olanda che abbiano conseguito il solo diploma di scuola media superiore.

Insomma – come qualcuno già da tempo sospettava – le università italiane sfornano laureati incompetenti e rischiano di diventare stamperie di diplomi inutili.

Siamo un Paese di dottori ignoranti e incapaci di gestire semplici calcoli matematici senza dover ricorrere ad un’App dello smartphone? E di questo passo dove andremo a finire?

La Repubblica Italiana è nata il 2 Giugno 1946, quindi è del segno dei Gemelli. Adesso consulto l’oroscopo e vi faccio sapere.

 

Magia del ferramenta

Magia del ferramenta

chavi cricchetto beta snodateUna delle cose che apprezzo di più del fatto di vivere fuori da una metropoli, ma sempre tanto vicino da arrivare a piedi alla metropolitana, è il fatto che qui ci sono ancora la cartoleria e il ferramenta.
Che discorsi…direte voi. Questi negozi si trovano ancora a Milano o Roma e in altre grandi città.
Il fatto è che però sono quasi spariti e quindi è raro averceli sotto casa. Avendo abitato a Milano per undici anni, non ne avevo nessuno dalle mie parti.
Qui invece ci posso andare a piedi o in bicicletta. Se mi servono 5 (o anche 7) buste per corrispondenza, un foglio (e non dieci) di etichette adesive, non sono costretto a comprarne un numero fisso e a mettermi in coda alla cassa dietro un carrello contenente la spesa di un anno per una famiglia di 8 persone.
La vera magia però è visitare il negozio di ferramenta, con i suoi scaffali ordinati, le cassette di attrezzi, i banchi da lavoro, i compressori e i rotoli di tubo da giardino. Mi piace perfino l’odore di lamiera verniciata, cartone e olio minerale che ci si respira. Puoi prendere le chiavi inglesi e soppesarle in mano, ruotare quelle a cricchetto per valutarne la fattura e la precisione, scegliere le punte da trapano direttamente dall’espositore.
Ma il fattore per me più importante è che puoi parlare con qualcuno. La cosa più negativa della grande distribuzione è che l’elemento umano non c’è più.
Il Signor Paolo con lo spolverino blu lo trovate solo dal ferramenta (e ancora per poco, perché i figli lavorano in banca o insegnano matematica). Gli puoi chiedere informazioni, puoi fargli aprire una cassetta di ferri e se poi non ti bastano i soldi puoi anche tornare a pagare dopo. E’ lui che sale sulla scala e ti tira giù una cassetta di cartoncino con lucchetti, bulloni, ganci, occhielli, squadrette e mille altri articoli di ferramenta che prima o poi qualcuno cerca.
La maggior parte delle volte che ho fatto spese in un grande ipermercato del fai-da-te ho trovato invece interlocutori sprovveduti e disinteressati. “Se non trova l’articolo nella corsia 4 vuol dire che non ce l’abbiamo”. E non parliamo poi di chiedere loro qualche consiglio di ordine tecnico. Non hanno idea e non gli interessa averla.
Per molti addetti il motto è: lavoro qui ma non me ne frega niente: in realtà io sognavo di fare il DJ.
Che gente

Che gente

Anche un motociclista convinto come me non disdegna il trasporto pubblico, specialmente se le condizioni meteo sono piuttosto invernali.

Gente

Eccomi quindi alle 7 del mattino che attraverso Milano in metropolitana, in una carrozza piena di gente strana. Mentre con la coda dell’occhio studio i miei compagni di viaggio, mi chiedo che cosa vedano nello specchio la mattina quando stanno per uscire di casa e in base a quali criteri si considerino presentabili…

Alla mia sinistra siede un tipo sulla quarantina che indossa uno di quei berretti di lana lapponi con il pon-pon in cima e due lunghi paraorecchie che finiscono in un cordino e un altro pon-pon per lato. Porta un paio di occhiali spessi e un mezzo sorriso stampato in viso con i denti superiori sporgenti. Forse ascolta la musica con le cuffiette nascoste dal berretto, o forse non gli serve nemmeno l’MP3: tanto la musica ce l’ha in testa. Sembra un buon diavolo, ma non ha l’aria del candidato al premio Nobel.

Di fronte c’è una tizia bassa dai folti capelli neri e con un baschetto alla francese calcato in testa che le azzera interamente la fronte conferendole un’espressione abbastanza ebete. Porta un paio di occhialoni da vista tondi appoggiati su un naso stretto e piatto che all’improvviso finisce in un bulbo proiettato in fuori.

Ha labbra sottili, quasi inesistenti e sotto spunta un mento prominente che fa concorrenza al naso. Ora tira fuori un tubetto di lip gloss, estrae il pennellino e, nonostante gli scuotimenti del treno, riesce a centrare le labbra senza imbrattarsi naso e mento. Potenza della pratica. Ora ha finito di truccarsi. Io non vedo la differenza, ma lei sì ed è questo che conta.

In piedi nel mezzo della carrozza c’è uno che indossa un piumino antartico troppo grande di almeno una misura per il suo fisico esile. La giacca ha incorporato un cappuccio imbottito con visiera che lui tiene calata sugli occhi. Il collo è alto e lui lo tiene ben serrato sopra il mento con il cordino elastico. Nel vagone ci sono almeno 20 gradi, ma lì dentro lui ne avrà almeno il doppio. Dalla giacca polare spuntano due gambe di pantaloni di completo e in fondo ai pantaloni spiccano due scarpe color zucca dalla punta quadrata.

Tra i piedi c’è una borsa da computer nera. Uno smanettone freddoloso?

Mentre studio la gente bizzarra che mi circonda mi rendo conto di essere arrivato alla mia fermata. Mentre scendo mi abbottono il cappottone beduino di lana grezza e mi calco in testa il colbacco in pelo dell’armata rossa. Sul pavimento in gomma della stazione, i miei stivali Western fanno un tic-toc quasi impercettibile.