Nel Wyoming c’è una cittadina chiamata Jackson, situata a 1900 metri di altitudine in una vallata che nell’800 battezzarono Jackson Hole, .
Jackson è una località prevalentemente turistica, in una zona di straordinaria bellezza, dove sono stati girati diversi film di successo già dai tempi di John Wayne, ma anche più recentemente titoli come Balla coi Lupie Django Unchained.
Jackson ha circa 10.000 abitanti, è al centro di tre comprensori sciistici e si trova a breve distanza da due parchi nazionali, Yellowstone e Grand Teton.
Un’idea all’apparenza balzana che ha contribuito alla crescente popolarità di Jackson è stata quella di installare un paio di anni fa delle webcam in posizioni strategiche nel paese.
Una in particolare è collocata al primo piano di un immobile all’incrocio tra West Broadway e South Cache Street. La webcam è ad alta definizione e dotata di audio e copre l’angolo sud-ovest della piazza centrale, la Jackson Town Square.
L’ora locale a Jackson è 8 ore indietro rispetto all’Europa centrale e, quando qui da noi sono le 12:00, lì sono le 4 del mattino.
C’è qualcosa di inspiegabilmente affascinante nell’osservare un incrocio stradale deserto, con l’asfalto coperto dalla neve e i semafori rossi che lampeggiano in un silenzio totale. Solo saltuariamente, annunciato dal brontolare cupo di un motore V8 a benzina, transita lentamente un pickup o un SUV. Poi di nuovo il silenzio e l’unico movimento è la neve che scende abbondante.
Oltre l’incrocio si intravedono un angolo della piazza e uno strano arco imbiancato che però non è un cespuglio sagomato dai giardinieri. Ad ogni angolo della Town Square si trova uno di questi quattro archi costruiti con le corna dei wapiti (Cervus elaphus canadensis), raccolte dopo la loro muta.
Quando il mio lavoro mi vede al PC, ho ormai preso l’abitudine di aprire il link con la live webcam di Jackson e a indossare le cuffie per averne l’audio come sottofondo.
Ogni tanto, quando in Wyoming è notte fonda, sento arrivare un veicolo e interrompo il lavoro che sto facendo per dare un’occhiata.
E’ come se abitassi al primo piano di 10 West Broadway e mi affacciassi alla finestra nel cuore della notte, o anche in pieno giorno quando da noi fa già scuro.
Si è rivelato un passatempo rilassante e del tutto gratuito ma non riesco a spiegarmi perché mi attrae. Ho letto che di media ci sono 2000 persone nel mondo che si affacciano contemporaneamente alla stessa finestra sulla piazza di Jackson. Tutti matti?
Uno dei nomi più celebri nell’Olimpo dei compositori di musica da film è quello di Ennio Morricone. Ricordo ancora l’impatto della sua innovativa colonna sonora in Per Un Pugno di Dollari quando il film apparve sugli schermi nel 1964. Era una base musicale profondamente diversa e più immediata di quelle alle quali i western tradizionali ci avevano abituato.
Da allora, il nome di Ennio Morricone si è abbinato a una serie di film di grande successo, italiani e stranieri, e l’opera del maestro vanta un enorme numero di appassionati in tutto il mondo.
Di tutta la sua opera, il brano più emblematico e coinvolgente a mio avviso è il tema conduttore di C’Era Una Volta il West (1968).
Nella versione originale l’apporto della straordinaria voce soprano di Edda Dell’Orso ha reso indimenticabile questo brano ed è il punto di riferimento per tutti i rifacimenti che ne sono apparsi nel corso dei decenni.
Per curiosità, ve ne propongo qualcuno.
La soprano olandese Claudia Couwenbergha detta di molti rappresenta, nella sua interpretazione di questo brano, la migliore erede di Edda Dell’Orso (oggi ottantatreenne). Il video è del 2013.
Una sorprendente interpretazione è stata proposta dalla giovanissima Patricia Jane?ková, della Slovacchia, che ai tempi di questo video aveva 14 anni.
André Vásáry, soprano ungherese, ci offre la sua singolare interpretazione di C’Era Una Volta il West. Non avrei mai pensato che una voce maschile potesse essere presa in considerazione per questo brano—e chiaramente mi sbagliavo.
Un’altra singolare versione viene dalla Romania, dove Petruta Küpperusa il flauto di Pan invece della voce.
Forse l’alternativa più sorprendente alla voce umana è quella proposta dalla musicista ungherese Katica Illényi, che ha usato il theremin, uno strumento elettronico inventato nell’URSS e che compie cento anni nel 2019. Ad accompagnarla, in questo video del 2015, era l’Orchestra Filarmonica di Gyor.
E per concludere questa carrellata di interpreti del capolavoro di Ennio Morricone, vi propongo la mezzosoprano norvegese Teva Semmingsen, accompagnata dalla magnifica Danish National Symphony Orchestra.
Fin da piccolo ricordo quanto la musica fosse una costante nella nostra casa. In famiglia, l’appassionato era mio padre, che spaziava nei suoi gusti dalla musica classica al Festival della Canzone Napoletana. Troppo giovane per “capire” la musica che ascoltavo, ero comunque in grado di apprezzarla per come mi toccava.
Due erano i pezzi da me preferiti nella mia infanzia.
Uno (che io chiamavo “musica classica divertente”) era la celebre Rhapsody in Blue di George Gershwin, che divenne subito parte della mia collezione musicale appena ebbi i soldi per comprare il disco.
L’altro (un pezzo “serio” di violino) mi ha eluso per decenni. L’avrei cercato se avessi ricordato il nome del pezzo, o al massimo quello del violinista. Mio padre lo citava spesso come un virtuoso, ma per anni ed anni ho cercato di ricordare quel nome, ma sempre senza successo.
Finché, per qualche misterioso meccanismo cerebrale, mi sono svegliato qualche giorno fa con quel nome sulle labbra.
Yascha Heifetz.
Non so per quale motivo il suo nome non mi è mai tornato in mente per oltre mezzo secolo. So anche che avrei potuto entrare in un negozio di musica e “raccontare” il celebre pezzo e forse un commesso ben informato avrebbe potuto identificarlo, ma l’imbarazzo mi ha sempre bloccato.
E ora scrivo commosso queste righe mentre le mie cuffie mi regalano il mio brano preferito a tutto volume.
Dopo oltre 50 anni riesco ad ascoltarlo ancora. E’ incredibile.
Ma—mi chiedo—ci voleva tanto?
PS: Per coloro che ritengano datata la performance di Heifetz, c’è un giovane violinista giapponese—Fumiaki Miura—che interpreta lo stesso pezzo da campione—e a colori.
I always get my daily ration of information from online news outlets (easily a dozen of them), as I haven’t bought a newspaper in years. The advantage is being able to go through your sources in a matter of seconds—and saving the best stories as PDF files—but there is a downside to real-time reporting: the ubiquitous typos, and, regrettably, the epidemic mangling of English grammar.
I don’t mean just the traditional “dangling” or misplaced modifiers. Examples?
Electoral fraud is inevitable when confronted with no ID requirements.
Electoral fraud can’t be the subject of the modifying phrase (the one beginning with when).
A better solution is: “Electoral fraud is inevitable when poll workers are confronted with no ID requirements.”
Gazing out my window, the sun rose like a fiery ball.
Clearly, the sun is not the subject of the modifying phrase. A better solution is: “As I gazed out my window, the sun rose like a fiery ball.”
The President told the press he was considering lifting the embargo yesterday.
To avoid confusion, reorganize as follows: “Yesterday the President told the press he was considering lifting the embargo.”
OK, having cleared that up, we can turn to other annoying errors that editors miss, probably because they’re no longer employed due to financial constraints. Many junior reporters on news outlets and blogs have either no time to check for errors or no idea that they made them.
Here are the top 8.
Peddle vs. Pedal
They’re pronounced the same way, but if you’re describing someone who’s trying to sell something, you must use ‘peddle’. If you’re talking bicycles, then it’s ‘pedal.’
Rein in vs. Reign in
They’re pronounced the same way, but the first one means ‘to limit, to contain’. The second one has to do with a sovereign’s rule and is simply wrong if used in a sentence like: “The party leader was forced to rein in a few overenthusiastic supporters.”
Defuse vs. Diffuse
You can defuse an explosive device (by removing the fuse) and, by extension, you can defuse a tense situation. What you cannot do here is use the verb ‘diffuse’, which is very similar in pronunciation but means ‘to spread, to disseminate’. It’s not a question of style—it’s just plain wrong.
Affect vs. Effect
Similar pronunciation, different meanings. Two examples: To affect the outcome of an election vs To effect change in an organization. Tricky choice but you have no wiggle room. One can’t be used in place of the other.
Toe vs. Tow (the Line)
“To toe the line” means to abide by the rules. It’s an idiom that comes from athletics, where runners wait for the start gun with their toes on the line. If you want to tow the line, instead, you have to be a ship which is pulling (towing) a rope (line) through the water. Not a very likely metaphor for those who stick to standards. Tow and Toe are pronounced the same way, hence the confusion.
Shoo-in vs. Shoe-in
Another case of identical pronunciation can be found here, but only one expression is correct.
A shoo-in is a contestant whose victory is certain. A shoe-in is just wrong
Role vs. Roll
Again, the pronunciation is the same but the meaning changes. “My role as a father” vs. “Roll is a list of members of a school.”
Moot vs. Mute
Here the pronunciation is not quite the same (moot vs. myoot) and the meaning entirely different. “The issue soon became a moot point”.. Moot means irrelevant, Mute means silent—not quite the same thing.
L’altissimo livello di conflittualità tra l’Amministrazione Trump e gran parte degli organi di stampa è un fenomeno che ha ormai più di due anni, se contiamo anche la campagna elettorale di Donald J. Trump.
Chi vuole un quadro più completo dei continui scambi di accuse e dell’asprezza dei toni, farà bene a visitare dei siti di notizie americani per non doversi accontentare dell’agenzia di stampa nazionale ANSA, dove le notizie sono già filtrate e confezionate ad uso e consumo del PD, o quello che ne resta.
Di norma, l’ANSA si limita a tradurre (e spesso anche male) quanto appare sulla CNN o sul Washington Post, ambedue chiaramente schierati a sinistra.
Il mio consiglio è appunto documentarsi direttamente e trarre le proprie conclusioni invece di accontentarsi di quanto prodotto da intermediari maldestri.
In questo post voglio presentare una serie di termini giornalistici e politici che compaiono spesso sulla stampa americana. Dopo l’ormai arcinoto “fake news”, anche questi termini sono diventati di uso comune e potrà rivelarsi utile esserne al corrente.
Hit-job è un assassinio virtuale, un articolo pubblicato al fine di demolire un particolare individuo con argomentazioni e prove spesso inventate o esagerate. L’attuale tentativo di screditare il giudice Brett Kavanaugh, candidato da Trump alla Corte Suprema, è un classico esempio di political hit-job.
Op-ed (l’abbreviazione sta per “opposite the editorial page” oppure “opinion editorial”). Si tratta di un editoriale firmato da un opinionista esterno alla redazione della testata giornalistica su cui appare.
Puff-piece è quello che in Italia viene spesso chiamato una “marchetta”, un articolo scritto per osannare un individuo o un’azienda senza alcun ritegno e la pur minima obiettività. Quando l’ANSA parla del gruppo Fiat (pardon, del gruppo FCA) si tratta quasi sempre di puff-pieces.
Softball interview. Questa è la classica intervista all’acqua di rose dove l’obiettivo è far apparire l’intervistato in una luce positiva evitando accuratamente domande difficili e temi controversi. Ultimamente la CNN ha intervistato Hillary Clinton, offrendole un’ennesima opportunità per raccontarci a chi questa volta attribuisce la colpa del suo fallimento elettorale nel 2016. (P.S.: non è mai colpa sua).
Bombshell è una notizia esplosiva. La parola è spesso utilizzata senza ulteriori spiegazioni, oppure compare sotto forma di aggettivo precedendo termini come report, story, allegations, declaration e così via.
Leak è la cosiddetta “soffiata”, l’indiscrezione o fuga di notizie. Questo metodo sta diventando così diffuso che non esiste ormai organizzazione indenne da fughe di notizie, anche se in alcuni casi queste possono portare all’espulsione dei responsabili e/o a conseguenze penali. Paradossalmente la soffiata riceve più attenzione di un comunicato ufficiale e tende ad essere più creduta di questo.
Gotcha question.Gotcha sta per “got you”, ossia “ti ho beccato”. Si tratta di domande tranello per far cadere in trappola l’intervistato. Il giornalista ha già le prove per contestare la risposta dell’intervistato dimostrando che ha mentito E’ una tecnica del cosiddetto Gotcha journalism, in cui il reporter non si prefigge l’obiettivo di appurare la verità ma piuttosto di segnare punti per una causa politica. Esempio classico è la celebre intervista di Cathy Newman (dell’inglese Channel 4) al Prof. Jordan Peterson, uno psicologo canadese diventato molto famoso in tempi recenti (anche grazie alla stessa intervista con la Newman) per le sue tesi controcorrente. La Newman continuava a incalzare Peterson interrompendolo, rigirando le sue affermazioni e cercando di incastrarlo. La serenità e la compostezza del canadese nel demolire l’intervistatrice hanno fatto il giro del mondo. L’intervista ha registrato 12 milioni di “hit” su YouTube.
I officially retired a couple of months ago, but it’s only now begun to dawn on me that I have effectively joined the category of retiree. There are two reasons for this delay. On the one hand, the social security administration failed to process my application on time, on the other, I haven’t stopped working at all—nor do I intend to, at least for a few more years.
The fact remains that this is another stage in my life and a largely uncharted one. For the first time in almost fifty years, I’m getting paid for doing nothing. (Of course, I know this is actually my money they’re paying me, but it feels funny nonetheless.)
Thinking about all this, I’ve concluded that we actually live a series of different lives within that period we commonly refer to as ‘my life’. Each one of these lives involves different objectives, a separate cast of characters, and—to a certain extent—different values.
Some core elements are continuously present in all these lives, starting with ourselves of course, but also including a number of loved ones and long-time friends, and some hobbies and passions we never dropped.
I can distinguish several such lives in my past, starting with my childhood and teenage years, followed by my first contact with that unique construct we call ‘work’—which amounts to surrendering a large part of your waking hours to someone else’s objectives in exchange for money.
In my case, I also count as distinct lives the years I spent in different countries, with different people, doing different jobs. In each one of these lives, I made myself at home in different contexts, mostly spoke different languages and spent my free time in different ways.
I also believe I always knew when each one of these lives was coming to an end and I was ready for the next one.
The last time this happened was ten years ago, when I transitioned from a senior management job to starting my own business. I felt ready for it, even though I could have picked a better moment, seeing as that point in time coincided with the beginning of a long and ugly recession.
I have to confess, however, that this new life I just stepped into has taken me by surprise.
Of course, I have known for years that I was going to officially retire at a certain age, but it’s still taking me some time to process the whole thing. That’s why I’m still hanging on to my chosen profession and, for the first time in my lives, I’m enjoying the unprecedented privilege of choosing my clients and the projects I want to work on.
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