Set 20, 2013 | The Blog
Quando nel Gennaio 2012 quella farsa di comandante portò la Costa Concordia ad incagliarsi sugli scogli del Giglio, furono in tanti a prendere l’immagine della grande nave bianca agonizzante sul fianco come metafora dell’Italia (e qualche cartoonist addirittura si spinse a creare un parallelismo con l’Unione Europea).
Pochi giorni fa, ho assistito in diretta all’operazione di raddrizzamento della nave (l’ormai tanto pronunciata parola inglese “parbuckling”, che perfino la Signora Cesira dell’interno 6 sa dire correttamente, mentre i pubblicitari insistono ancora a farle ordinare gli assorbenti chiamandoli Ca-re-fre-e).
Come tutti sanno, l’operazione, ambiziosa e tecnicamente complessa, è stata un successo malgrado le previsioni sballate e assolutamente velleitarie di qualche pseudo-esperto uscito dall’ombra per i flash della stampa e, fortunatamente, rientrato nell’oscurità dopo essere stato clamorosamente smentito.
In contrapposizione all’ignavo, squallido comandante-guitto (del quale però i suoi concittadini vanno tanto orgogliosi) è emersa la figura dell’eroe, il salvage master Sloane, l’uomo concreto e alla mano che ha progettato e portato a termine un’operazione senza precedenti.
La verità è che questo Paese cerca sempre i cattivi assoluti (e nel patetico comandante ne ha certamente trovato uno) e gli eroi a 360°. Ai tempi del naufragio, eroe degli italiani divenne l’ufficiale della Capitaneria Gregorio De Falco, che urlò il celeberrimo ordine: ”Vada a bordo, cazzo!”. Oggi è Nick Sloane, che celebra il successo bevendosi una birra direttamente dalla bottiglia davanti ai giornalisti. Un giornalista della CBS News, Mark Phillips, ha detto iperbolicamente che, se l’Italia rispolverasse la monarchia, il suo prossimo re si chiamerebbe probabilmente Nicholas Sloane.
Non è difficile mettere a confronto questo personaggio senza fronzoli con il pagliaccio in uniforme da capitano che ha causato la tragedia del Giglio. E molti lo hanno fatto.
Quello che non ho letto né sentito da nessuna parte (ma forse sono stato disattento) è che la metafora del gigantesco lavoro di squadra che ha raddrizzato la Costa Concordia si potrebbe estendere all’Italia.
Il Paese fa acqua ed è incagliato sugli scogli. Non sarebbe pensabile un analogo sforzo per rimetterlo in sesto?
Ma chi è il Nick Sloane della situazione?
Io non vedo che comandanti impomatati e capaci soltanto di riempirsi la bocca di parole.
Ago 18, 2013 | The Blog
In questi giorni sto trafficando attorno alla nuova moto che ho appena comprato e mi trovo spesso alla ricerca di qualche accessorio o pezzo che mi occorrono per fare le modifiche che ho in mente.
Siamo però nel periodo di Ferragosto ed è meglio verificare online se il negozio che cerco è aperto.
Oggi è Sabato 17 Agosto e, a tutti gli effetti, non è un giorno festivo. Verifico sul sito di uno dei maggiori negozi di moto di Milano, quello contraddistinto dal simbolo olimpico: ci sono gli orari di apertura, ma nessuna indicazione su eventuali chiusure.
Per sicurezza, controllo anche un altro megastore milanese, che dista nemmeno 20 minuti dal primo in direzione centro. Anche qui, tutto in regola. Sono riportati gli orari ma non c’è nessun avviso di chiusura.
Parto in direzione del primo negozio. Lo trovo chiuso con sulla vetrina un foglio A4 scritto a pennarello che ne annuncia la chiusura fino al 20/8.
Proseguo verso il secondo negozio. Chiuso anche questo, con il tradizionale foglio A4 incollato alla porta.
Mi domando: perché non indicare le date di chiusura nel proprio sito Web? A che serve avere un sito se non per comunicare con i clienti? Che senso ha scrivere le informazioni sulla chiusura e metterle solo sulla porta? E’ evidente che si finirà per scontentare quelli che sono dovuti arrivare fino lì per scoprirlo.
Avrei potuto telefonare, mi dirà qualcuno. Ma perché telefonare quando c’è uno strumento chiamato Internet che ha rivoluzionato il modo di fare commercio?
In questo Paese, il ruolo del Web non è ancora del tutto chiaro. Le aziende si creano dei siti spesso complicatissimi, pieni di stupide animazioni che non caricano mai, e omettono di indicare le cose che servono al cliente.
Orientamento al cliente significa pensare alle sue esigenze e agire nella maniera che si riveli più comoda per lui.
Ma non è tutto.
C’è una ditta delle Marche che ha pubblicato un elenco di oltre 500 articoli per moto su un sito di vendite online. Nessuno di questi articoli però riporta il prezzo.
Scrivo all’indirizzo mail indicato nell’annuncio e segnalo che mancano i prezzi degli oggetti in vendita. La risposta arriva il giorno dopo: “Lo sappiamo. E’ la nostra politica”.
Se di tutti i navigatori in rete soltanto la metà decide di non scrivere per richiedere il prezzo dell’oggetto, vuol dire che il 50% dei potenziali acquirenti è andato perduto.
Che politica commerciale può essere questa? Solo la politica degli imbecilli patentati.
Quanto ai due negozi milanesi chiusi, non spenderò più un soldo presso di loro e me ne andrò invece in un altro storico negozio di Milano Nord (che ha anche più sedi in città e dintorni) e che sul suo sito pubblica religiosamente e con grande chiarezza le sue date di chiusura in Agosto. Ci voleva tanto?
Il buon customer service parte da attenzioni di questo tipo. In questo Paese c’è ancora parecchio lavoro da fare perché gli operatori economici arrivino a capirlo.
Ago 4, 2013 | The Blog
Diceva Jack Welch, leggendario CEO di General Electric (v. foto), che i veri leader semplificano. La complicazione è creata dai manager insicuri.
Ci ho sempre creduto e continuo a sostenerlo. Per questo diffido sempre di quelle figure direttive (che siano capi ufficio o capi di stato) che si sentono in dovere di parlare complicato, come se la loro autorità si basasse sull’essere compresi da pochi.
Ecco quindi che, leggendo il messaggio di Giorgio Napolitano al sindaco di Roma il giorno dell’inaugurazione della nuova zona pedonale nel centro della città, mi si è accapponata la pelle.
Cito il sommo riportandone parte del messaggio come ha fatto un’agenzia di stampa:
“…come affermai quando mi venne conferita la cittadinanza onoraria di Roma, nessun nefasto richiamo a ‘retoriche belliciste’ o ‘pretese di potenza innestate nel passato sul culto della romanita” – ha aggiunto Napolitano – puo’ dare avallo a una sottovalutazione dell’impronta incancellabile e del fascino”, sottolinea, “di una cosi’ straordinaria costruzione di civilta’, nei suoi molteplici contenuti e nelle sue espressioni di perenne bellezza”.
Ecco. Un piccolo capolavoro di complicazione mista a duplicità.
Che cosa voleva dire esattamente? Ma più importante ancora, quanti l’hanno capito?
Quando i politici si scambiano messaggi di questo genere viene il sospetto che non interessi loro minimamente se la popolazione che amministrano li capisca o meno. Sono trasmissioni cifrate, segnalazioni in codice che riportano la posizione dell’uno e dell’altro, come avviene tra sommergibili in tempo di guerra.
Per chiunque altro ascolti queste trasmissioni, il significato sfugge del tutto o – peggio ancora – non interessa minimamente.
Lug 22, 2013 | The Blog
Even a land-locked country like Austria can have its own Bermuda Triangle. In Vienna’s case, we are obviously not talking about the treacherous waters off the US Atlantic coast, nor is there – as far as I know – any paranormal activity involved.
The Austrian capital’s Bermuda Triangle (or Bermudadreieck in German) is not even shaped like one. It’s a section of prime real estate in the historical heart of Vienna. The St. Rupert Church (Ruprechtskirche) acts as its main landmark and this area is roughly located between the square known as Hohenmarkt (with its signature gilded Anker clock and one of Vienna’s most popular würstel stands) and the Schwedenplatz, with the adjoining Danube Canal.
This is Vienna’s elegant First District, which at one time contained the Jewish Quarter and still is home to the city’s main synagogue. In earlier times this was the location of the Roman military camp of Vindobona. St Stephen’s cathedral lies within a short walking distance (less than 10 minutes) and so do a number of celebrated Viennese sights.
More than a physical place, the Bermuda Triangle is a state of mind. This part of the city is synonymous with nightlife: lively restaurants and watering holes abound, both within its imaginary boundaries and in the adjoining streets of the city center. In recent years, the concept and atmosphere of the Triangle have progressively pervaded the neighboring area lying between the Judengasse and Rudolf Square to the north-west.
The evocative nickname dates back to some 30 years ago, when a smattering of bars, music clubs and restaurants opened in this area almost at the same time, and serious bar-crawlers started “disappearing” into them for hours on end. Unlike the sailors and fliers lost in the “real” Bermuda Triangle, the revelers would eventually head home at closing time, with scant recollections of what they had been up to and where.
If you visit Vienna’s Bermuda Triangle (and I strongly recommend you do), the classic bars and restaurants worth checking out are Roter Engel (Red Angel), Krah-Krah, Ma Pitom, Salzamt, and Philosoph, to name just a handful.
One more thing. What in Germany is called a Kneipe (roughly equivalent to a bar or pub), in Austria takes the name of Beisl (pronounced bye-zul). Don’t go and cause a diplomatic incident on your first night out!
When I first moved to Vienna, my German – which I had studied in Heidelberg – was definitely Hochdeutsch (the formal version of the language) and I kept drawing suspicious stares from the locals until I mastered the Viennese vernacular and the Austrian vowel sounds. Several times in those early days I was asked if I was a “Piefke”, not exactly a term of endearment that Austrians reserve for Germans (Bavarians excluded).
Giu 8, 2013 | The Blog
I’ve just finished laboring through Dan Brown’s “Inferno”, a badly written story so replete with clichés it feels like a Lego set of banalities. But it’s got all the right backdrops – including Florence’s cobbled roads, Venice’s canals, and Istanbul’s exotic skyline – and an unlikely cast of characters, first and foremost the hero of previous Brown novels, American professor Robert Langdon, whose knowledge of symbology has ensured his tenure as the author’s go-to guy for all things arcane.
A new entry is Sienna Brooks, an intriguing heroine who will tag along beside Langdon throughout the story.
Their depth of character is so insubstantial, they could be starring in a videogame, but the key to Brown’s success lies in the devilishly (oops…) complex plots he creates, not in his writing ability.
All of his supporting characters are no deeper than those that populated vintage James Bond books, mere sketches that readers can flesh out with their own set of stereotypes.
I suspect it’ll prove difficult to tell the eventual script of “Inferno – The Movie” from the book itself.
One could also argue that Brown’s grasp of history is barely adequate to graft a mystery thriller onto well-documented historical events. In Chapter 68 he even says of Venice that the plague “weakened it enough for it to be conquered by the Ottomans”, but in reality Venice was never subjugated by the Ottoman Empire, a fact that neither he nor his researcher were obviously aware of.
Add an excessive amount of Italian dialogue – more than enough to fill a small phrase book -and you have an indifferent read with far too many flashbacks to “The Da Vinci Code”.
This, of course, won’t prevent it from becoming a blockbuster in bookstores and movie theaters alike.
The amount of hype that surrounded its release was professionally orchestrated and even included a free e-book sneak preview. “Inferno” was simultaneously released in mid-May 2013 in English and twelve more languages. It’s been reported that twelve translators worked in great secrecy between February and April to complete the work by the same deadline.
As a translator myself, I think the hardest part of their job must have been to render Brown’s signature shallowness into their respective languages.