Chi ha seguito le elezioni presidenziali USA (e i primi 100 giorni dell’Amministrazione Trump) sui media americani avrà incontrato una serie di curiosi termini che proverò ad approfondire in questo post.

Deplorables

E’ un epiteto che Hillary Clinton ha rivolto all’elettorato del suo rivale prima del voto e che le è costato caro ai seggi. La frase incriminata diceva testualmente “you could put half of Trump’s supporters into what I call the basket of deplorables.”

Una curiosità: il candidato francese alla presidenza, Emmanuel Macron, ha rivolto simili insulti ai sostenitori della rivale Marine Le Pen. E’ sempre rischioso demonizzare l’altra parte quando c’è un’alta percentuale di elettori indecisi che, scioccati dalla virulenza dell’attacco, voteranno per la parte offesa. Ed è sempre un errore chiamare troglodita, nazista, vigliacco, infame chi non la pensa come te. Oggi i francesi eleggono il loro nuovo presidente. Chissà se Macron—che guarda alla Clinton come modello ed è stato apertamente sostenuto da Obama—pagherà pegno per le sue incaute affermazioni.

Inevitable

La traduzione del termine non presenta difficoltà. Secondo la stragrande maggioranza dei giornalisti e dei commentatori politici (oltre chiaramente ai sostenitori della Clinton), l’elezione di quest’ultima era inevitabile. Dopo aver quasi unanimemente sostenuto Obama nel 2008 e nel 2012, il Quarto Potere era convinto di essere riuscito a eleggere la Clinton. La bruciante sconfitta in dirittura d’arrivo ha prodotto o esasperato I tre fenomeni che seguono, dei quali buona parte della stampa occidentale mostra chiaramente i sintomi.

Fake News

In italiano sono le false notizie o—più colloquialmente—le bufale. I mezzi di comunicazione di massa e la blogosfera sono esplosi con una ridda di notizie non verificate, ma tutte votate a gettare discredito sulla Presidenza Trump, i suoi collaboratori, la sua famiglia e le persone da lui nominate alle maggiori cariche dello stato. Legami con la Russia, collegamenti con l’estremismo di destra, razzismo, antisemitismo, apologia del nazismo, scandali di ogni genere messi in circolazione da fonti non attendibili sono stati immediatamente ripresi dai media e messi in prima pagina. All’osservatore attento non sarà sfuggito il contrasto con il muro di stampa eretto dai media a protezione di Obama durante le sue due campagne presidenziali. Le stesse fonti che hanno chiuso un occhio sui trascorsi poco chiari del candidato Obama (molti dei documenti relativi alla sua carriera scolastica e accademica sono tuttora sotto sigillo) continuano a rovistare nel passato di Trump con la certezza di trovare (o di potersi inventare) qualcosa. Tutto questo mentre persistono forti dubbi sull’autenticità del certificato di nascita di Barack Hussein Obama, per il quale la stampa americana ha sempre mostrato un interesse molto inferiore rispetto alle dichiarazioni dei redditi di Trump.

Triggered

Un termine molto diffuso che definisce chiunque sia travolto da forti emozioni negative a seguito di un evento, una notizia o un’affermazione che non corrispondono alle sue idee o aspettative. I conduttori della maggior parte dei notiziari TV e siti online americani (ma ce n’è anche da noi e in Europa in generale) sono decisamente triggered, anche se buona parte del pubblico è interessata alla notizia e non alla reazione emotiva dei cronisti. Ma non solo la stampa è sotto shock per l’elezione di un candidato diverso, anche la quasi totalità della cosiddetta “creative community” mondiale (attori, musicisti, intellettuali) è triggered.
Non c’è un attore di serie A—ma anche e specialmente un attore fallito—che non cerchi i suoi 5 minuti di rinnovata notorietà sputando volgarità e accuse nei confronti dell’Amministrazione Trump. La questione, ovviamente, non è farsi andare a genio Donald Trump (a me, per esempio, Trump non piace—ma certamente la Clinton mi piaceva ancora di meno). Qui si tratta di rispettare il risultato delle elezioni e di utilizzare i mezzi che un sistema democratico offre per esprimere il proprio dissenso. L’insulto gratuito al presidente o ai suoi elettori può anche costare caro. Chiedetelo a Hillary.

Snowflake

Qualcuno ricorderà le scene di costernazione nel campo Clinton (v. foto del titolo) quando, malgrado i sondaggi favorevoli, la candidata dei Dems ha perso le elezioni. L’incredulità ha ceduto ben presto il posto al rifiuto della realtà.
Anche qui, studenti, intellettuali, attori, politici e altri poco avvezzi a gestire le contrarietà della vita hanno messo in mostra i tratti classici del fiocco di neve: fragilità e unicità. Piuttosto che affrontare la sconfitta come fa chi ne ha subite altre sul campo di battaglia della vita, hanno scelto di sentirsi offesi a titolo personale nella loro individualità di esseri umani chiaramente superiori ai Neanderthal che hanno vinto.
Inoltre, la vulnerabilità del fiocco di neve li ha portati a cercare conforto in una varietà di occupazioni, dai canti corali alla creazione di oggetti in plastilina fino alle manifestazioni di piazza in un non meglio definito movimento di “resistenza”.
Il termine snowflake (anche usato nella locuzione precious snowflake) non è esclusivo delle elezioni 2016 ma era già in uso da qualche anno per definire quei bambini viziati e coccolati dai genitori al punto di essere impreparati ad affrontare la vita in maniera efficace e indipendente, Il problema, secondo alcuni ricercatori, assume perfino connotazioni generazionali e non è, purtroppo, limitato all’America ma è ben noto anche da noi. A testimoniare la progressiva convergenza comportamentale in un mondo altamente globalizzato, anche nel nostro paese esistono segmenti della popolazione che accoppiano la fragilità e unicità dei fiocchi di neve con la risultante pretesa di un trattamento preferenziale. E’ questo crescente senso di entitlement che rende il fenomeno particolarmente preoccupante.