Grazie all’ufficio Italiano per il Commercio Estero di Shanghai, ho un elenco di appuntamenti con potenziali clienti situati a sud della metropoli. Lo stesso ICE mi organizza un’auto con autista e interprete, che sono stati già utilizzati con successo in passato da ditte italiane e che provvederò a pagare direttamente.
Il mio interprete è un giovane universitario dall’improbabile nome di Calvin (come molti Cinesi, il suo nome occidentale se l’è scelto lui) e con il quale girerò per una settimana incontrando aziende piccole e grandi. Senza di lui (ma anche senza un autista esperto), la mia missione già naufragherebbe appena arrivati in periferia.
Partiamo all’alba nella luce arancione dello smog e arriviamo a Tiantai nella provincia di Zhejiang nel primo pomeriggio con la nostra Buick Regal costruita a Shanghai dalla General Motors. L’auto è nera e porta ancora al lato del parabrezza un cartello dall’aria ufficiale con tanto di falce e martello e che sicuramente risale a qualche precedente servizio, ma in Cina avere un’aria di ufficialità non guasta mai.
Non abbiamo prenotato un albergo; cercare su Internet un alloggio in località minori della Cina è un gioco di pazienza che finisce sempre male: siti caotici, mancanza di foto, nomi di fantasia o incomprensibili, nessuna catena alberghiera conosciuta. La soluzione migliore è arrivare a destinazione e guardarsi intorno. Grazie all’autista e all’interprete, l’obiettivo è raggiunto in soli cinque minuti dall’arrivo in città. L’albergo è una costruzione di medie dimensioni con un atrio enorme e completamente vuoto. In fondo c’è un banco del ricevimento verso il quale Calvin ed io ci dirigiamo. Nonostante l’albergo vanti quattro stelle, non si accettano carte di credito ma solo Renminbi* (RMB) contanti. La cifra è comunque modesta e dopo un frusciante trasferimento di banconote entriamo in possesso delle chiavi.
Ma in albergo non c’è un ristorante e la fame ci spinge all’esterno una volta depositate le valigie.
La cittadina è mezza addormentata e la via centrale offre ben poco in materia di ristoranti. Anche i negozi sono pochi e squallidi.
Dopo un paio di “vasche” senza esito sulla strada principale, ci troviamo davanti un fast-food della catena KFC. E’ già tardi, lo stomaco protesta e decidiamo di entrare.
Per chi come me apprezza la cucina cinese, ritrovarsi davanti un secchiello di pollo fritto con la ricetta segreta del Colonnello Sanders di Louisville, Kentucky, e un litro di Pepsi invece di un tè verde o una birra Tsing Tao è l’equivalente di un brutto sogno. Ma la fame ha la meglio sui miei principi e procediamo a demolire la montagna di pollo fritto che ci sta davanti.
Nel corso dei miei giri in Cina, scopro poi che KFC riscuote un successo clamoroso nel Paese di Mezzo (traduzione di Zhonghuá, che è appunto come i Cinesi chiamano la loro terra). E’ il ristorante occidentale più diffuso e apre nuovi punti vendita al ritmo pazzesco di 250 all’anno. Il numero totale di KFC in Cina supera ampiamente i 2000 ristoranti, con un rapporto di 2 a 1 rispetto ai McDonalds, che pure sembrano onnipresenti.
Quella stessa sera, incontriamo un potenziale cliente che ci ha invitato a cena. Ci passa a prelevare in albergo e ci porta in una sontuosa sala privata di un ristorante del centro cittadino. Lì, a sorpresa, ci sono già sette suoi amici seduti a tavola e l’aria è densa di fumo.
Sono l’unico occidentale del gruppo e il buon Calvin si prodiga in una serie di presentazioni che hanno l’effetto di lasciare tutti piuttosto confusi. Non importa, ognuno sorride contento, il cibo arriva in quantità industriali e sul tavolo appaiono grappoli di birre dalla marca sconosciuta.
Ormai i Cinesi parlano e scherzano tra loro e si danno molto da fare con le innumerevoli portate. Calvin ed io facciamo altrettanto. Ogni tanto qualcuno mi invita a gesti a mangiare ancora di questo o di quello e io non mi faccio pregare: i piatti sono ottimi, sebbene di molti non mi sia chiaro il contenuto. Ringrazio sorridendo e mi servo. Immancabilmente qualcun’altro mi riempie il bicchiere di birra appena il livello cala sotto la metà. Non so quanta ne avrò bevuta in oltre due ore ma fortunatamente si tratta di birra a bassa gradazione e ne risento appena gli effetti. Calvin, con la sua corporatura esile, mi sembra invece in difficoltà e fatica a tenere una posizione verticale.
Ad una certa ora, ci scusiamo con il nostro ospite, salutiamo l’allegra compagnia e ce ne torniamo a piedi in albergo. L’aria è fredda e asciutta e ci rimette rapidamente in sesto mentre risaliamo la strada principale. Mi viene in mente che non so nemmeno il nome dell’albergo, ma finché il buon Calvin è sveglio non c’è problema.
(*) Il Renminbi, anche noto come Yuan, è la moneta utilizzata in tutta la Cina, ad eccezione di Hong Kong e Macao.