Che strana sensazione arrivare alla frontiera tra Italia e Slovenia e non doversi fermare.
Gorizia e Nova Gorica sono quasi diventate due quartieri della stessa città.
Anche il passaggio tra Slovenia e Croazia, sebbene sia soggetto come sempre a controllo doganale, non incute particolare timore e si rivela un’operazione piuttosto rapida e rilassata.
Le cose si complicano lasciando la Croazia diretti in Serbia. Si percepisce quasi un aumento del livello di tensione. La Serbia dopotutto non ha una fama brillante, ma a onor del vero, dopo pochi minuti di controlli (che comprendono anche il libretto di circolazione della moto), le porte di questa nazione si spalancano e gli incontri con le uniformi di Belgrado non riprendono che all’uscita dal paese.
Una burocrazia perversa fatta di chiavi USB contenenti i dati del mezzo (e che il pilota deve mostrare a una serie misteriosa di diversi sportelli senza nome) accompagnano l’ingresso in Bulgaria. A parte questo, nessuna complicazione. La decantata “vignetta” per utilizzare le autostrade bulgare non appare in vendita da nessuna parte, noi non la andiamo a cercare e nessuno ce la chiede. Amen.
Da Bulgaria a Turchia si valica una linea immaginaria che é la frontiera tra cultura occidentale e cultura islamica. Non era così 30 anni fa, ma la Turchia oggi si sta polarizzando e i sostenitori di un suo ingresso nella CE farebbero bene a togliersi i paraocchi dell’idealista e a guardare bene questo improbabile candidato.
Il passaggio alla frontiera è macchinoso, il processo inefficiente e poco cordiale. Niente fotografie, anche se l’enorme moschea che appare dopo la barriera dei caselli dei doganieri fa gola al fotografo in cerca di simbolismi. Facce accigliate, nessun messaggio di benvenuto. Altoparlanti lontani proiettano distorto il canto registrato del muezzin. Piano piano, la fila di auto e moto transita davanti allo sportello. Il doganiere turco si prende molto sul serio e adotta la faccia standard dell’ignorante: ostile per non sbagliare.
Niente però supera la tensione palpabile del passaggio da Turchia in Grecia. La frontiera sul fiume Evros sembra una cittadella, i militari si muovono in assetto da guerra e si dice che la terra di nessuno fra i due paesi sia ancora minata. Terminato l’ennesimo esame del libretto di circolazione, il turco fa cenno di passare. Dall’altra parte del ponte, il doganiere greco chiede in Italiano: “niente da dichiarare?” Alla risposta negativa, saluta sorridendo e augura buon viaggio. Il cerchio si chiude, si ritorna nell’Europa senza frontiere.
A molti Italiani, i Greci amano dire: “una faccia, una razza” alludendo a origini etniche comuni.
Sarà poi vero? Non lo so, ma non c’è dubbio che la sensazione è quella.