Chi vuole entrare a Istanbul deve accettare il fatto che il traffico della metropoli turca cominci già a cinquanta chilometri di distanza, da qualunque direzione si provenga.
E chi lascia Istanbul, come abbiamo fatto noi diretti alla frontiera greca, deve essere pronto a sopportare cinquanta chilometri di traffico intenso prima di esserne definitivamente uscito.
Dopotutto, un agglomerato di 13 milioni di abitanti garantisce la presenza di un’ora di punta che dura 24 ore al giorno e copre centinaia di chilometri quadrati.
Poi, lasciata la città, il nulla. Dopo aver fatto un interminabile slalom tra rampe, raccordi e svincoli e dopo quasi un’ora su un’autostrada urbana a tre corsie, ci ritroviamo improvvisamente a viaggiare paralleli al mare in un paesaggio monotono, costellato di squallidi villaggi, moderne stazioni di servizio e bandiere con mezzaluna e stella che sventolano dappertutto.
E’ la Tracia, regione che porta lo stesso storico nome anche una volta passati in Grecia.
Si naviga con la bussola, visto che in terra turca manca del tutto la segnaletica che indichi la strada per la nazione confinante e tutt’altro che amica.
Solo arrivati a poca distanza dalla frontiera appaiono dei cartelli misteriosi che recano il nome “Yunanistan”.
Ma dove stiamo andando? La domanda viene spontanea.
Niente paura, siamo sulla strada giusta. I turchi la Grecia la chiamano così.
La frontiera dal lato turco ha un aspetto formidabile, é una fortezza circondata da filo spinato e sulla quale sventolano enormi bandiere.
I controlli, anche in uscita, sono piuttosto severi e l’area doganale é enorme.
Poi finalmente si arriva al ponte sul fiume Evros, che marca il confine. Sul lato turco ci sono due garitte con un paio di soldati armati e dall’espressione impenetrabile.
Anche sulla sponda greca ci sono due militari armati, ma hanno l’aria annoiata di chi fa la guardia al nulla.
Uno di loro vede arrivare il nostro piccolo convoglio di quattro moto e ci saluta con la mano. Siamo ritornati in Europa.