Un black swan event è per definizione un avvenimento raro, difficile da prevedere e di enorme impatto.
Le reazioni di individui, organizzazioni e governi davanti al verificarsi di tali accadimenti sono le più svariate.
Si va dalla paralisi alla negazione o anche alla reazione impulsiva e grossolana—quella che l’inglese chiama knee-jerk reaction.
Lo stiamo osservando e vivendo in questi giorni, un mese dopo che l’avanzata del Covid-19 ci ha colti di sorpresa e costretti a un’azione di retroguardia sgangherata e piena di contraddizioni.
Da cittadini assistiamo all’autorità mentre ricorre al suo strumento di default: il controllo. Ma ben venga un’azione di controllo mirata e intelligente, non lo scomposto accanimento legislativo che, con dieci decimi di vista a tunnel, lascia delle falle macroscopiche.
Ecco quindi che, mentre i residenti di un numero di province del Nord e del Centro Italia si accingono per la prima volta a compilare un’autocertificazione che l’indomani permetterà loro di spostarsi sul territorio, una folla disperata prende d’assalto l’Intercity delle 23.20 che lascia Milano – Porta Garibaldi diretto a sud, trasportando con sé un potenziale carico di portatori di virus. Stessa scena in Stazione Centrale.
E’ la notte del 7 Marzo 2020.
E il 24 Marzo, due settimane dopo il ‘treno della vergogna’, il sindaco di Messina blocca finalmente l’entrata in porto ai traghetti provenienti dalla Calabria, che ancora riversano passeggeri sull’isola, molti dei quali non autorizzati a spostarsi e potenziali portatori di contagio. Ma chiudere la stalla adesso serve a ben poco.
Contemporaneamente, 1250 km più a nord, mi accosta un’auto dei Carabinieri mentre porto a passeggio i miei due cani. Con estrema cortesia, il Carabiniere mi ricorda che quanto sopra mi è permesso entro un raggio di 200 metri dalla mia abitazione (qui siamo a circa 300 metri di distanza) e mi augura buona giornata mentre riparte.
Non è chiaro in base a quale calcolo il legislatore abbia stabilito questa distanza. Né è chiaro perché il sindaco di un altro comune italiano (8.000 abitanti) abbia deciso di fissare il limite in 150 metri e non 200. E chissà quanti altri sindaci avranno preferito 300 metri—o perché no, anche 225.
Si può credere in un provvedimento di cui non è chiara—né è stata mai spiegata—la logica?
E ancora, perché è stato proibito di andare a correre da soli? Quanto è realistico temere che un centinaio di subdoli runner corrano tutti verso la stessa destinazione per prendersi gioco dell’autorità organizzando una flash mob?
E’ la paranoia del legislatore impotente o una misura efficace per evitare assembramenti?
Io ritengo che qualunque individuo maturo e responsabile sia disposto a rinunciare a parte delle sue libertà personali per il bene comune (il suo compreso) in momenti come questo. Ma è davanti alle regole miopi e bizantine che ti prende lo sconforto; inevitabile quindi la domanda: “Ma in che mani siamo?”
Come per tutti i black swan event (Chernobyl, la caduta del Muro di Berlino, l’11 Settembre 2001), anche gli effetti di questa attuale congiuntura andranno a esaurirsi e torneremo a quella che chiamiamo normalità più saggi ma anche più provati.
Quasi tutti i governi, in questa pandemia, hanno mostrato le loro carenze—a partire da quello cinese.
E noi, come individui, che cosa abbiamo imparato? E, in particolare, quali sono i takeaway che ne possiamo trarre e riversare sulla nostra attività o su quella delle aziende nostre clienti?
Trasferendo il mio attuale vissuto di cittadino sul cliente, lo stakeholder, o il passeggero e mettendomi al loro posto, mi sorgono spontanee le seguenti considerazioni, che giro volentieri alle aziende e organizzazioni con le quali collaboro:
- Le regole ci sono per un buon motivo, ma funzionano bene solo se vengono spiegate chiaramente.
Esprimerle nel mio linguaggio aziendale è sbagliato. Devo trovare un linguaggio condiviso con il mio cliente e accertarmi che sia compreso. Fondamentale è il rispetto per il cliente, che è un fattore basilare affinché il cliente, a sua volta, rispetti le regole. - Se non c’è un buon motivo alla base di una regola, questa va eliminata.
Un istituto finanziario americano, la TD Bank, ha perfino istituzionalizzato l’esame critico da parte dei suoi collaboratori di quelle procedure che si siano rivelate controproducenti. Tramite il programma “Kill a Stupid Rule”, l’azienda premia con $50 i dipendenti che identificano una regola che rischia di provocare inutilmente l’insoddisfazione dei clienti. - Guardiamo dall’alto alla nostra relazione con il cliente senza fissarci sulle minuzie. Serviamoci di questa helicopter view per avere una vista d’insieme del rapporto, con tutte le sue potenziali criticità e touch point Formuliamo scenari futuri—favorevoli e non—e le relative strategie da adottare. L’importante è individuare le azioni immediate da prendere senza scivolare negli aziendalismi ma calandoci piuttosto nei panni del cliente. Che cosa si aspetta da noi in un frangente come questo?
Non perdiamo tempo a lucidare gli ottoni del Titanic se l’impatto con l’iceberg è inevitabile. Corriamo a calare le scialuppe di salvataggio.
Se da una parte gli amministratori della cosa pubblica non sembrano mostrare particolare interesse a stabilire un rapporto onesto e collaborativo con il cittadino—che è pur tuttavia il loro datore di lavoro—noi che curiamo il rapporto con il cliente non possiamo permetterci mancanze di questo genere.
Una relazione di lungo termine con il cliente ci permetterà di massimizzare il customer lifetime value (CLTV) ma sempre e soltanto se è salvaguardata la qualità della customer experience.
Questa, a sua volta, viene inevitabilmente compromessa quando diamo per scontata la fedeltà del cliente o, peggio ancora, ne insultiamo l’intelligenza.