Ogni giorno i titoli dei giornali ci riportano le notizie di ulteriori atrocità perpetrate in nome della religione ed è ormai inevitabile associare le parole fondamentalismo o terrorismo all’aggettivo islamico.
Ogni volta che, prima dell’imbarco di un volo, siamo costretti ad aprire il bagaglio a mano per farlo ispezionare, a toglierci scarpe e cinture prima di passare scalzi attraverso un metal detector, forse non ricordiamo nemmeno più che queste misure di sicurezza sono state rese necessarie in seguito agli atti terroristici commessi da attentatori islamici.
Certo, l’Islam non è l’unica religione nel cui nome sono stati perpetrati atti di violenza e intolleranza.
L’incapace che ancora risiede nella Casa Bianca ci ha ricordato nel Febbraio scorso che anche il Cristianesimo si è macchiato del sangue di innumerevoli vittime. Il suo riferimento alle Crociate esemplifica ancora una volta l’arroganza e la pericolosa incompetenza di uno dei peggiori presidenti nella storia. Il paragone tra il terrorismo e le atrocità di oggi con eventi storici che risalgono a oltre 800 anni fa è forzato e disonesto. A nessuno verrebbe in mente di incolpare i romani di oggi dello sterminio degli Etruschi avvenuto duemila anni fa.
Il mio lavoro mi ha portato per anni in nazioni caratterizzate da tensioni etniche e religiose e in paesi fortemente improntati all’islamismo. Tuttavia, solo di rado ho avuto occasione di sperimentare atteggiamenti aggressivi nei miei confronti quale europeo e quindi “infedele”. Premesso questo, resta comunque il fatto che, ogni volta che sono diretto in un paese arabo o quando il mio aereo di linea sorvola nazioni come l’Iran o l’Iraq, il pensiero va inevitabilmente alla questione sicurezza e a quella dell’intolleranza religiosa. E’ innegabile che il problema esista ed è stupido (o perfino criminale) minimizzarlo o negarlo come fanno Obama e altri come lui.
Nella terza settimana di Ottobre, ho lavorato per 4 giorni a Dubai, dove ero stato per l’ultima volta otto anni fa. Devo dire prima di tutto che l’impatto è stato incredibile: in otto anni il paese è cresciuto in maniera impressionante e mostra una vitalità straordinaria, essendo uscito dalla morsa della crisi globale ormai due anni fa ed essendosi impegnato in una serie di ulteriori, grandiosi progetti, non ultimo fra questi l’EXPO 2020.
Come in passato, anche questa volta mi ha colpito a Dubai la convivenza di più religioni, lingue e usanze in un paese dichiaratamente arabo. In questo emirato ricco di contrasti e, diciamolo pure, di sfarzo esagerato per gli standard europei, le varie convinzioni religiose sembrano coesistere intatte e con pari dignità.
A parte il caleidoscopio surreale degli shopping mall, dove la donna araba interamente velata guarda le vetrine a fianco di un’altra araba in abiti occidentali e tacchi alti, la normale e pacifica convivenza di usi e costumi è un fatto quotidiano. L’arabo che indossa la tipica kandoura immacolata non si scompone mentre al tavolo a fianco si siedono quattro americane in shorts; nel traffico intenso della Sheikh Zayed Road (v. foto), il commerciante indiano al volante di un gigantesco SUV bianco si contende pochi metri di asfalto con l’espatriato nordeuropeo al volante di una Porsche Panamera, il tutto in maniera naturale e non aggressiva.
Nei seminari di formazione che ho tenuto a Dubai, i partecipanti appartenevano ad almeno 7 diverse nazionalità e quattro religioni: cattolici, copti, induisti e musulmani. In particolare, sebbene fossero presenti due egiziani e un giordano, gli unici due islamici osservanti si sono rivelati essere indiani. All’inizio del seminario i due mi hanno chiesto se, per consentire loro di pregare all’orario prescritto, si potesse spostare di mezz’ora la pausa caffè pomeridiana.
L’abbiamo fatto senza problemi, ma mi ha colpito il modo del tutto sereno in cui la richiesta è stata fatta. Come tutti sappiamo, non sempre le esigenze degli islamici osservanti vengono presentate in maniera equilibrata (e questo in paesi in cui sono loro ad essere “ospiti”). Quando anni fa in un campo profughi siciliano è stato servito ai musulmani il mangiare durante il giorno—ed era il loro Ramadan—c’è stata una rivolta in cui hanno dato fuoco ai loro alloggi.
Qual è quindi l’esempio di Dubai?
Viene spontaneo concludere che, in presenza di un governo che garantisce la libertà religiosa e di un’economia in costante ascesa (PIL in crescita media del 5,25% dal 2012 ad oggi), l’integralismo non rientra tra le priorità dei residenti di Dubai, mentre il raggiungimento del benessere sì. Gli Emirati non sono certo un paradiso in terra, ma rappresentano tuttavia un compromesso funzionante tra un governo autocratico islamico e l’esigenza di assicurare all’oltre 80% di popolazione non locale la possibilità di vivere tranquillamente il loro stile di vita senza chiudersi in un “compound” come avviene in Arabia Saudita.