- Accept that Italy is not a service-oriented culture”. (Elizabeth Heath, blogger di “MyVillageinUmbria”)
- “I understand this is Italy and I cannot expect the efficiency of Scandinavia” (utente finlandese di TripAdvisor)
- “Völlig unerwartet aber super…”(trad.: del tutto inaspettato ma ottimo) (cliente tedesco di Venere.com reduce da un hotel in Calabria)
Questi sono tre commenti pescati a caso sul Web e che descrivono la qualità del servizio riscontrata da viaggiatori stranieri in Italia.
Perché il visitatore tedesco usa l’aggettivo inaspettato? Perché è risaputo che in Italia la qualità del servizio sia generalmente carente, le strutture disorganizzate e i servizi caotici.
Eppure l’importanza del turismo per questo Paese è nota da secoli. E in tempi recenti, mentre l’industria manifatturiera continua a perdere centinaia di migliaia di posti di lavoro, il turismo in Italia potrebbe ancora rappresentare un settore in crescita.
E allora perché il servizio rimane una nota dolente? Per quale motivo non si riesce ad equilibrare la qualità delle attrattive turistiche con quella del servizio e delle infrastrutture?
Nel corso dei decenni, i vari pupazzi che si sono succeduti al dicastero del turismo (nelle sue varie incarnazioni) e all’Enit (l’agenzia del turismo) si sono dimostrati particolarmente incapaci nel creare e sviluppare una cultura del servizio, affidandosi invece alle sterili e scontate celebrazioni di località e bellezze naturali italiane. Hanno speso miliardi in campagne insulse, faraoniche quanto affollate missioni di lavoro all’estero e una miriade di convegni e simposi fini a se stessi.
L’Enit, in particolare, arranca dal 1919 guidato da figure evanescenti e inconcludenti, nessuna delle quali ha lasciato il minimo segno della sua presenza (se non – ovviamente – per la gestione spensierata dei fondi e l’inefficacia degli investimenti).
Ricordo con imbarazzo l’intervento di uno dei tanti presidenti dell’Enit (questo era democristiano DOC e regnò negli anni 80) che sentii proclamare con foga oratoria: “Tanto, se vogliono il sole e il mare, qui da noi devono venire”. Non rammento se la sua affermazione idiota fu pronunciata dopo le libagioni prandiali, nel qual caso la colpa poteva essere del vino.
L’attuale titolare è salito alla ribalta della cronaca nel 2009 per aver pubblicato su La Repubblica una lettera aperta indirizzata a suo figlio nella quale lo esortava a lasciare l’Italia per cercare fortuna all’estero. Tre anni dopo veniva comunque nominato alla presidenza dell’Enit, a ulteriore dimostrazione della memoria corta degli italiani e di quanto contino gli spintoni della politica.
Oggi l’Enit, che si potrebbe definire l’ombra di quello che era una volta se non fosse sempre stato un buco nero di idee e soldi, ha una presenza online miserabile, dove peraltro si autodefinisce così in un inglese sgangherato: ENIT – Agenzia Nazionale del Turismo promotes the overall image of the national tourism offer and supports its marketing activities.
Una brutta traduzione letterale che è però un acconcio biglietto da visita per un’istituzione che è da sempre un parcheggio di lusso per boiardi di stato spompati e un territorio conteso nelle lottizzazioni tra partiti.
Chissà quando è stata l’ultima volta (o magari la prima) che un presidente dell’Enit ha incontrato un turista in visita in Italia e ne ha raccolto i commenti…