C’è una parola inglese che in italiano manca e quindi si rivela difficile da tradurre. E’ accountability.
Il Sansoni la traduce come “il rendere conto del proprio operato”, poi azzarda una traduzione di una sola parola “trasparenza” (ma, sorry, questa non mi convince affatto). Poi propone “atteggiamento responsabile”.
Non male come tentativo, ma siamo onesti: si tratta veramente di un compito arduo.
Il Collins online ci prova con “responsabilità”, ma ancora non ci siamo. Troppo generico. Responsabilità vuol anche dire consapevolezza delle conseguenze dei propri comportamenti, ed è questa l’accezione che in Italia piace di più, forse perché più filosofica, meno tagliente e recisa.
Faccio un esempio: se a Pompei crollano la Casa dei Gladiatori e la Casa del Moralista, chi è “accountable”?
Il Ministro dei Beni Culturali non si dimette. Anzi, la prospettiva di dimettersi è vista con un certo fastidio.
Un ministro taglia i nastri tricolori, fa i discorsi ma non “rende conto del proprio operato”, visto che non ha operato un bel niente. Semplice, no? Mica li ha tirati giù il ministro quei muri. L’obbligo morale di rendere conto del proprio operato tende ad evaporare mentre si sale verso l’alto.
Il tristemente noto cialtrone di un comandante che ha bruciato le vite di oltre trenta persone, azzerato l’immagine della sua azienda e affossato quella delle crociere in generale, si proclama “eroe” per aver salvato centinaia di persone. Poco importa che la somma di quelli che avrebbe “salvato” sia un po’ meno della totalità dei suoi passeggeri, quelle stesse persone che lui ha messo in pericolo di vita con una condotta criminalmente irresponsabile. A differenza della gerarchia ministeriale, qui il comandante scarica verso l’alto le responsabilità, come se al timone non ci fosse stato lui. Si dichiara “sereno” e pronto a “valutare le prove”. Ma le prove non le deve valutare lui. La sua parte l’ha già fatta.
Qui ci vorrebbe una dignitosa ammissione di responsabilità, il gesto eticamente corretto di una persona seria e integra. Ma non facciamoci illusioni, non siamo di fronte a un personaggio in grado di capire (né tantomeno sentire) il bisogno di rendere conto di niente.
E poi c’è poco da valutare, l’hanno capito tutti come è andata. Che la Costa ( e tutti gli altri operatori) condonino la “navigazione turistica” è un fatto abbastanza scontato, ma la nave sugli scogli ce l’ha portata lui e la condotta disdicevole dopo il naufragio è tutta farina del suo sacco.
Ma se i sindaci danno ai meteorologi la colpa del caos prodotto dalla neve, se un intera nazione (la Grecia) pensa di uscire dalla crisi con una raffica di scioperi generali, allora nutro poche speranze che si trovi la traduzione esatta di “accountability” in italiano (o in greco). E confido ancora meno che se ne veda mai traccia nelle culture nazionali.
La parola “accountability” (e tutto quello che sottintende) è destinata a rimanere nel limbo dei termini intraducibili come “fair play”, quelle boiate anglosassoni che ci appaiono tanto oscure e irrilevanti come le regole del cricket.