Per Britalian intendo quella versione della lingua inglese utilizzata con disinvoltura dagli Italiani che non sanno l’Inglese.
Per capirsi, il Britalian è parente stretto dell’Itañol (che a sua volta è la versione della lingua spagnola utilizzata dagli Italiani che non sanno lo Spagnolo) e del Franglais, che i Britannici parlano in Francia e si meravigliano di non essere capiti.
Sorge spontanea la domanda: “Ma se non sanno l’Inglese (o lo Spagnolo), perché non lo imparano prima di usarlo?”
Giusta osservazione. Un Tedesco, per esempio, farebbe proprio così. Mentre un Francese si rifiuterebbe per principio di imparare (e di utilizzare) qualunque altra lingua se non la langue française, point.
L’Italiano invece è più disinvolto e geneticamente privo di ogni senso di autocritica. Diversamente non si spiegherebbero insegne commerciali del tipo Occhial House (che esiste sul serio a Milano) o peggio ancora Dogcooker, una ditta brianzola di accessori per animali domestici che da anni continua a evocare in me immagini raccapriccianti di pentoloni fumanti pieni di amici dell’uomo.
Quando stai per investire diverse migliaia di Euro in un’insegna luminosa, che cosa ti costa informarti presso qualcuno che l’Inglese lo sa veramente e chiedere se per caso non stessi scrivendo una castroneria?
O magari (la butto lì) spendere 100 Euro per farti consigliare da un traduttore professionista. Ma la “voglia di multinazionale” ha contagiato molti bottegai italici, ormai convinti di essersi dati un tono di global player. Perché sbattersi per realizzare un logo in Inglese autentico quando in pochi minuti ne inventi uno che sembra inglese. E qui un’analogia con i Rolex cinesi non sarebbe del tutto peregrina.
Nel Britalian rientra anche quell’impiego sbrigativo dell’Inglese fatto nelle aziende e che abbrevia pragmaticamente titoli ritenuti troppo lunghi e ridondanti. L’Account Manager diventa così l’Account (“ieri ho parlato con l’Account della XYZ Advertising”), il Sales Representative si ritrova chiamato Sales (“oggi vedo il Sales della GlobalAir”). L’elenco è pressoché infinito ma in compenso assolutamente democratico, visto che abbraccia dal Regional (Vice President) con una RAL di oltre €200.000 all’Administrative (Assistant), che si porta a casa un decimo di quella cifra.
Sempre Britalian è lo spostamento sistematico degli accenti di alcune parole inglesi, che spesso genera ulteriori sfaceli nella pronuncia delle stesse. Mostri come Purchàsing, Rèport, Manàgement, Sùspense, Éxpress, Vintàge sono i crimini più frequenti. Chi provasse a enunciare queste parole piazzando l’accento al posto giusto e magari abbozzando anche una pronuncia decente, si vedrebbe subito apostrofato con: “Aò, ma che me fai er fanatico?”
Il senso di orgoglio e di proprietà di questa bizzarra lingua (“dite quello che vi pare, io l’Inglese lo parlo così”) è un fatto singolare che trova solo riscontro nelle lingue creole e nel Pidgin English, dove però questi fenomeni linguistici hanno una loro dignità etnica e storica.
Il Britalian era un tempo anche noto come Inglese maccheronico. L’espressione è però caduta in disuso in quanto ritenuta politicamente scorretta.
Essa sembrava subdolamente sottintendere una padronanza meno che ottimale della lingua inglese e pertanto (Dio ce ne scampi) la necessità di studiarla con maggiore impegno. Tutto ciò è chiaramente inaccettabile nel Bel Paese che ha dato i natali a geni come Leonardo Da Vinci e Leonardo Pieraccioni e che produce il Parmigiano Reggiano che il mondo intero ci invidia.
Un giorno, entrando in un grande albergo di Milano ho sentito un connazionale che dalla Reception telefonava a un ospite straniero in camera: “Elloo, ai emme ueiting et de céntralin”. Non ho però colto il resto della conversazione, perché sono entrato nell’àscensor.