A meno di due settimane di distanza dalla data ufficiale delle elezioni presidenziali USA, una mossa a sorpresa del Direttore dell’FBI. James Comey, getta nel panico la campagna elettorale di Hillary Clinton. L’indagine sull’uso illegale di un server privato per gestire la posta ufficiale della Clinton Segretario di Stato è stata riaperta. Una quantità impressionante di mail che coinvolgono Hillary è stata trovata su un laptop appartenente alla sua assistente e confidente Huma Abedin (che ora finge sorpresa).
Pochi mesi fa, nel Luglio 2016, Comey aveva stupito l’America dichiarando che l’FBI non avrebbe richiesto al Dipartimento di Giustizia (DOJ) la messa in stato di accusa della Clinton. Fra le motivazioni addotte, Comey segnalava che, alla base degli errori, omissioni e violazioni commesse da Hillary Clinton non era stato ravvisato un intento criminale. Una lettura anche superficiale della dozzina di norme e regolamenti infranti rivela tuttavia che l’intento criminale non è assolutamente richiesto per mettere in stato d’accusa il presunto colpevole. Comey avrebbe fatto bene a convocare un Grand Jury e lasciare ad esso la decisione, ma aveva invece deciso di raccomandare al suo capo, Loretta Lynch (l’Attorney General, capo del DOJ) il non luogo a procedere. La Lynch aveva accettato questa raccomandazione senza battere ciglio.
A scandalizzare l’opinione pubblica (o almeno quella parte che non si beve il verbo del partito democratico USA) c’è il fatto che, solo pochi giorni prima dell’annuncio shock di Comey, la Lynch aveva avuto un rocambolesco “incontro privato” con Bill Clinton sulla pista dell’aeroporto di Phoenix, Arizona. Guardate la coincidenza: l’aereo privato della Lynch e quello di Clinton sono in attesa di partire da Phoenix, ma Bill decide di “fare un salto” a trovare la Lynch seduta nel suo aereo. 37 minuti passati—dicono—a chiacchierare di golf, vacanze e nipotini. Tutto questo mentre 147 agenti dell’FBI (che dipende dal DOJ) stanno investigando l’uso del server privato della Clinton. Chi crede veramente che Bill Clinton e Loretta Lynch si siano raccontati i rispettivi piani per le vacanze estive? Oppure l’incontro ha contenuto la promessa dei Clinton di prolungare il mandato della Lynch come Attorney General in cambio di un non luogo a procedere per la questione del server?
La decisione di Comey di non raccomandare la messa in stato d’accusa della Clinton dopo averne elencato in dettaglio le colpe e le omissioni ha gettato nello sconforto decine di agenti che avevano condotto l’investigazione. Sembra anche che siano partite raffiche di dimissioni a catena nei ranghi dell’FBI. Su queste premesse, la rivelazione da parte di Julien Assange (Wikileaks) dell’esistenza di decine di migliaia di mail compromettenti sul laptop di Huma Abedin ha finalmente spinto James Comey a riaprire l’indagine e restituire un minimo di dignità al suo team di investigatori e all’FBI in generale.
Salutato come un galantuomo dai Democrats a Luglio 2016, ora Comey è diventato un reietto e un paria e si moltiplicano gli attacchi nei suoi confronti. Troppo tardi, è inutile maledire l’iceberg dopo averlo speronato.
La vicenda del server è un elemento fondamentale perché rappresenta il tessuto connettivo tra l’abuso di autorità e la profonda corruzione della Clinton nei suoi 4 anni come Segretario di Stato, la finta attività benefica della Clinton Global Foundation e i traffici nascosti di Bill Clinton. Le attività illecite di Bill, Hillary e Chelsea Clinton (e il resto della banda) comprendono la continua sottrazione di fondi dalla fondazione per uso personale, la vendita di influenza a operatori economici americani e stranieri, l’erogazione di favori e finanziamenti a figure ufficiali coinvolte nell’investigazione del server, la creazione di una rete di affiliati e favoreggiatori, che in Italia chiameremmo associazione mafiosa (e che gli americani combattono con uno strumento legislativo chiamato RICO—Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act—varato nel 1970.) Non sono solo io a dirlo, ma lo sostiene anche Rudy Giuliani, ex-sindaco di New York ed ex-procuratore distrettuale.
E non abbiamo nemmeno parlato dell’Affare Bengasi, ma forse la debacle libica non sarà nemmeno necessaria per minare definitivamente le speranze della Clinton di ritornare alla Casa Bianca, questa volta come Presidente.
Un presidente eletto nel mezzo di un’investigazione criminale e vulnerabile a ricatti e rivelazioni da parte di cibercriminali internazionali è un’ipotesi tanto tremenda quanto ancora possibile. Forse gli americani stanno cominciando ad accorgersene, almeno gli “indecisi” e quelli che da anni non votavano più. Gli irriducibili Dems, invece, non votano un individuo, votano la scelta del partito.
Quanto sopra mi rende un sostenitore di Trump?
Certamente no, ma l’unica alternativa a un’altra presidenza Clinton (di gran lunga la più nefasta) è rimasto lui.
Se leggessi una storia come questa in un libro, lo getterei nella carta da riciclare perché riterrei la vicenda grottesca e poco credibile. Ma tant’è. Da noi si chiama realtà romanzesca, in inglese Reality beats fiction—o più volgarmente You can’t make this shit up.